DDL DIFFAMAZIONE: TETTO DI 50 MILA EURO AI RISARCIMENTI, LA RETTIFICA EVITA IL PROCESSO. MA RESTANO DUBBI

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Limite alle sanzioni pecuniarie, estensione delle rettifiche ai siti internet, sanzioni disciplinari giudicate anticostituzionali, responsabilità “ingestibili” dai direttori. E poi per pubblicazione arbitraria di atti e violazione della privacy rimane ancora il carcere. Ecco le caratteristiche del ddl Chiti-Gasparri, da ieri mattina al vaglio alla commissione Giustizia del Senato.
Una solo cosa è chiara: il decreto legge in discussione nell’aula di palazzo Madama eliminerà il carcere per il reato di diffamazione. E quindi eviterà (se confezionato in tempo) che l’ex direttore di “Libero” Alessandro Sallusti, condannato a 14 mesi di reclusione per diffamazione aggravata, finisca in galera. Sul resto non sono mancati, e non mancano ancora, i dubbi.
Ad iniziare dalla sanzione pecuniaria. La bozza iniziale prevedeva, infatti, una multa minima di 5 mila euro e un risarcimento, sempre minimo, di 30 mila euro. Non sono mancate le proteste da parte dei giornalisti. Una sanzione ingente, è stato fatto notare, rappresenterebbe comunque un deterrente per la libertà di espressione. In tal caso una querela milionaria avrebbe lo stesso effetto “persuasivo e limitativo” del carcere.
Tuttavia, almeno per ora, il capitolo ammenda sembra chiuso. Già Vannino Chiti, co-redattore del ddl e vicepresidente del Senato, aveva annunciato che le «sanzioni pecuniarie non avrebbero superato i 50 mila euro». E così sarà. Salvo clamorose sorprese. A tal proposito Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ha dichiarato, in commissione Giustizia, che «le sanzioni pecuniarie modeste non sono dissuasive. Piuttosto, si potrebbe pensare a sanzioni pecuniarie elevate e a misure interdittive, soprattutto per i recidivi e per gli accanimenti». In effetti resta ancora aperto il capitolo delle sanzioni disciplinari. Vale a dire: sospensione e radiazione. Maurizio Gasparri (capogruppo del Pdl al Senato e altro redattore del ddl) ha anche parlato di un eventuale ricorso, per tali evenienze, ad un giurì d’onore. Per i recidivi la sospensione dalla professione potrebbe significare anche la decadenza della abilitazione. Il che significherebbe, a conti fatti, rifare l’esame di Stato. Per Vittorio Feltri, collega di Sallusti al Giornale, sarebbe inconcepibile una radiazione dall’Ordine: «Sarebbe contro la Costituzione. La libertà di espressione non è mai sopprimibile». Ironia della sorte, l’articolo da cui è iniziato tutto è stato scritto proprio da un giornalista radiato dall’Ordine, Renato Farina.
E poi c’è il “capitolo” direttori. Il ddl estende la responsabilità del direttore anche alle testate radiotelevisive e agli altri mezzi di diffusione, ad esempio il sito web di una testata cartacea. Inoltre tale “responsabilità” varrà per tutti i direttori responsabili dei siti a carattere editoriale. Un elemento, questo, che non ha mancato di sollevare dubbi e perplessità. Lo stesso Sallusti, in’intervista concessa a “In Onda”, un programma di approfondimento giornalistico trasmesso da La7, ha dichiarato che «per un direttore responsabile è già praticamente impossibile controllare tutte le pagine del suo giornale». Quindi, figuriamoci tenere sotto controllo tutti i contenuti di un sito. Per la serie: l’omesso controllo…è garantito!
Ma il perno della nuova legge dovrebbe essere il rafforzamento dell’obbligo di rettifica. Gasparri ha dichiarato che «bisogna renderla effettiva» in quanto «oggigiorno è relegata nella rubrica delle lettere dei giornali in penultima pagina dove nessuno la vede». Infatti la rettifica, con la nuova legge, dovrà avere lo stesso rilevo della notizia diffamante.
Inoltre la correzione potrebbe essere estesa a siti, libri e giornali non periodici. Ma andiamo per ordine. Per quanto riguarda la rete l’obbligo sarà esteso tout court ai giornali on-line (ovvero ai siti con esplicito carattere editoriale); questi dovranno eliminare la notizia falsa (sempre che sia possibile farlo tecnicamente) e pubblicare la correzione. Ciò non vale (ancora) per i blog. Lo stesso Chiti ha ammesso l’estrema difficoltà a legiferare in tal senso. In effetti non si capisce ancora, giuridicamente, se tali piattaforme possano essere paragonate a luoghi pubblici, come un bar o una piazza, o a mezzi stampa (intanto un tribunale ha già accomunato Facebook ad un mezzo stampa, con tanto di multe e risarcimento ai danni di una donna, colpevole di aver diffamato il suo ex datore di lavoro). Per quanto riguarda i libri e tutta la stampa cosiddetta “non periodica”, questi, dati i tempi di realizzazione del prodotto, non hanno, materialmente, la possibilità di pubblicare la rettifica in tempi celeri. Dunque non è escluso che sia ordinato loro di acquistare una pagina su un quotidiano per poter pubblicare la “correzione” in tempi utili. In ogni caso la rettifica, se fatta a dovere, dovrebbe evitare il processo.
Infine l’ultimo appunto. All’inizio dell’articolo è stato scritto che il ddl eliminerà il carcere per i reati di diffamazione. Ma un giornalista può finire in galera anche per altri reati. La pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale, ad esempio, prevede ancora l’arresto (alternativo alla multa). E poi la violazione della privacy, bene di grado inferiore alla reputazione, a sua volta, pure contempla la pena detentiva fino a 3 anni. E in tal caso non è neanche necessaria la querela.
A questo punto non ci resta che aspettare qualche ulteriore…emendamento illuminato.

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