CASO SALLUSTI: LA PENA È CONFERMATA, MA SOSPESA. LA POLITICA E LA STAMPA: «SCANDALO, VERGOGNA»

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La Cassazione conferma 14 mesi di galera. Sallusti: «Non chiederò le misure alternative, e nemmeno la grazia. Per ora mi dimetto». Il giudice querelante: «L’articolo era falso. Non ho mai ordinato nessun aborto». L’unica soluzione è una riforma lampo.
È ufficiale: si tratta di diffamazione aggravata, punita con 14 mesi di galera e 35 mila euro di multa (tra risarcimento e spese processuali). Ma non è stata contestata l’aggravante della recidiva specifica, già in primo grado. In altre parole Sallusti non ha precedenti e cumuli di pene. Quindi il direttore ha 30 giorni per chiedere misure alternative. In questo lasso di tempo la pena è sospesa.
Intanto il direttore de Il Giornale ha annunciato le sue dimissioni: «Un direttore condannato non è libero».
La notizia ha provocato un terremoto su più fronti: stampa, politica e istituzioni. Ma non è mancata una solidarietà unanime.
La Fnsi:«Siamo tutti Sallusti». L’Ordine: «La sentenza è una intimidazione a mezzo stampa». Solidarietà anche dagli altri direttori. Ezio Mauro, direttore di La Repubblica, e Ferruccio De Bortoli, del Corriere della sera, hanno affermato che la galera per una opinione è sconcertante e scandalosa.
Anche il mondo delle istituzioni si è attivato. Napolitano studierà la sentenza. Dal presidente della Repubblica potrebbe arrivare la grazia, ma Sallusti non ha nessuna intenzione di chiederla.
Il ministro della Giustizia sta valutando una riforma normativa. «Bisogna intervenire sulla legge per la diffamazione del direttore responsabile, omogeneizzandola agli standard europei che la prevedono sanzioni pecuniarie e non detentive», ha affermato la Severino. E in effetti l’Italia è l’unico Paese europeo che prevede la galera per i reati a mezzo stampa.
E quindi il sistema legislativo italiano sarà messo alla prova. L’unico modo per evitare il carcere a Sallusti è proprio una riforma della legge. In particolare sarebbero da rivedere l’art.595 del Codice penale e l’art.13 della legge n.47 dell’8 febbraio del 1948.
La via legislativa è l’unica perché Sallusti non ha intenzione di chiedere le misure alternative: i servizi sociali, i domiciliari o la semilibertà. Per lui probabilmente sarebbero un compromesso. «Non sono né un ladro, né uno spacciatore. Non ho bisogno di essere rieducato […] e non chiederò nemmeno la grazia al presidente. Napolitano non ha difeso a sufficienza i cittadini dalla invadenza della giustizia».
Dunque Sallusti sembra convinto, e a quanto pare porterà avanti la sua battaglia ideologica. Ma non è da meno il giudice che l’ha querelato, Giuseppe Cocilovo. «È stata stabilita la verità dei fatti. È stata lesa la mia dignità e Libero non ha mai pubblicato un trafiletto di rettifica o scuse». E la Cassazione gli ha dato ragione al giudice: l’articolo (firmato con lo pseudonimo Dryfus) «era falso. La giovane [tredicenne, ndr] non era stata costretta ad abortire». La ragazza, infatti, voleva ella stessa abortire, ma mancava il consenso del padre, con lui la giovano non aveva un buon rapporto. In tal caso, il parere favorevole di un solo genitore (in questo caso la madre) non basta. Ci vuole l’autorizzazione del giudice. Dunque l’autorizzazione, non l’ordine. E Cocilovo ha sottolineato proprio tale sfumatura: «Io non ho mai ordinato nessun aborto». E l’articolo conteneva proprio quel verbo.
E per un verbo Sallusti potrebbe finire in carcere.

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