In nuovo melafonino oltre ad essere più sottile e ad avere un display più grande rispetto a quelli dei modelli già esistenti, sarà anche Lte. E fin qui nulla di nuovo. Il problema sono le frequenze, in quanto quelle europee sono utilizzate in maniera diversa rispetto a quelle americane, mentre la banda a 2,1 GHz veicola il traffico telefonico del 3G.
In Italia, il 30 settembre 2011 si é conclusa l’asta per la concessione delle frequenze 4G LTE delle tre frequenze disponibili: 800, 1800 e 2600. La parte del leone l’hanno Wind, Vodafone e Telecom Italia, che sono riuscite ad assicurarsi due blocchi ciascuna della frequenza LTE 800 Mhz (la migliore). Per quel che riguarda i 1800 Mhz, un blocco a testa per Vodafone, Telecom Italia e H3G. Quest’ultima si é aggiudicata quattro blocchi dei 2600 Mhz, esattamente come Wind: tre ciascuno per Telecom Italia e Vodafone.
I budget stanziati e spesi dalle compagnie telefoniche sono impressionanti: l’asta aveva infatti come obiettivo il raggiungimento dei 2,4 miliardi di euro. E si è riusciti a raccogliere poco meno di 4 miliardi. Questo il dettaglio degli importi: con 1,26 miliardi di euro a testa, Vodafone e Telecom Italia hanno speso più di tutti. Segue poi Wind con 1,12 miliardi, e H3G con 305 milioni, l’unica esclusa dalla banda migliore, la 800 Mhz.
Nella stessa banda UHF infatti dal 2013 dovranno convivere le trasmissioni della banda larga mobile di nuova generazione e quelle televisive. Entro la fine di quest’anno le tv locali saranno costrette a cedere le frequenze 61-69 UHF a favore delle compagnie telefoniche (in seguito all’esito della famosa asta LTE), e l’uso di questi canali per il mobile 4G potrebbe provocare molti oscuramenti tv. Le simulazioni al calcolatore e le misure di laboratorio hanno permesso di analizzare il comportamento degli amplificatori a larga banda degli impianti centralizzati d’antenna in presenza di segnali LTE.
Simulazioni e misure, effettuate in condizioni realistiche e non eccessivamente pessimistiche, hanno concordemente mostrato che, in alcune situazioni, l’impatto dei segnali LTE sull’intermodulazione degli amplificatori potrebbe essere serio, a conferma dei risultati pubblicati in ambito internazionale. Gli effetti più evidenti si hanno sui canali adiacenti (in particolare sul canale 60), ma tutti i canali nella banda UHF possono essere degradati fino alla mancanza di ricezione. È infatti opportuno che il livello del segnale LTE interferente sia ridotto ad un valore non superiore a circa 15÷20 dB rispetto ai segnali DTT.
Si può stimare che, in assenza di filtraggio preventivo o di altre tecniche di mitigazione, in condizioni sfavorevoli gli impianti potrebbero essere affetti da disturbi fino ad una distanza di oltre 1 km dalla BTS. Un filtraggio di base del segnale d’ingresso al centralino può aiutare a ridurre gli effetti dell’inter-modulazione, ma per essere efficace è necessario l’utilizzo di filtri ad elevata selettività, abbastanza costosi, mentre l’impiego dei semplici filtri “inline” a basso costo in alcuni casi potrebbero fornire risultati insoddisfacenti. Nei casi in cui il filtraggio non fosse sufficiente, saranno necessarie ulteriori contromisure sull’impianto, da valutare caso per caso (spostamento delle antenne riceventi, utilizzo di centralini canalizzati, ecc.). Si può presumere infine che i componenti di futura progettazione (antenne, amplificatori, miscelatori, ecc.) avranno già banda limitata a 790 MHz, agevolando le altre tecniche di mitigazione almeno sui nuovi impianti.
È poi auspicabile che opportuni vincoli siano fissati per l’operatore LTE, in modo da limitare in determinate aree l’entità del segnale interferente ricevuto in antenna: a tale proposito si possono adottare tecniche quali cross-polarizzazione, limitazione della massima EIRP, ecc. In ogni caso, la convivenza di servizi broadcast e 4G nella banda UHF richiederà una adeguata collaborazione tra tutti gli operatori coinvolti, in modo da evitare di far ricadere i relativi costi interamente sull’utente finale.
Per la cronaca, un filtro LTE costa oggi intorno ai 25 euro ma la spesa per l’installazione può arrivare fino a 8 volte tanto. Ciò dipende non solo dal tipo di filtro (ad innesto o su palo) ma dal tempo e dall’abilità dell’operatore/installatore che deve analizzare i segnali di arrivo, fare l’installazione, misurare la qualità all’uscita dell’amplificatore per vedere se ci sono interferenze residue e quindi fare le opportune verifiche. Insomma un vero salasso, soprattutto per chi ha un’antenna propria e non condominiale.