ACCORDO ANTITRUST-GOOGLE PER ABUSO POSIZIONE DOMINANTE

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Google manipolerebbe i risultati delle ricerche. I concorrenti hanno protestato. Nel 2010 è nata un indagine dell’Ue. Ora potrebbe esserci un accordo pacifico.
Lo ha riferito il Financial Times. Google avrebbe raggiunto un’intesa con l’Unione Europea per evitare una lunga e potenzialmente costosa battaglia legale. Google avrebbe così accettato di modificare le sua attività sui motori di ricerca.
Bisogna precisare che si tratta ancora di indiscrezioni. Tuttavia le premesse per un accordo formale ci sono. Google, da parte sua, vorrebbe evitare la “fine” di Microsoft e Intel. In particolare la prima società ha speso molto tempo e denaro per dare battaglia all’Antitrust. Poi, nel 2008, ha pagato 900 milioni di euro di sanzioni. Il colosso di Mountain View vorrebbe evitare ciò, ma non si sbottona. Più esplicito Joaquin Almunia. «Ritengo che abbiamo raggiunto un buon grado di intesa. Tra pochi giorni il primo incontro tecnico», ha affermato il commissario europeo alla Concorrenza. E lo stesso Almunia che il 21 maggio scorso mise in guardia Google, chiedendo proposte vincolanti correttive delle mancanze riscontrate da Bruxelles.
Secondo l’Antitrust dell’Ue, Google favoriva e favorisce i propri prodotti nei risultati delle ricerche e declassa quelli dei concorrenti. Inoltre Imporrebbe contratti che “monopolizzano” la pubblicità. Ricordiamo che Google controlla il 95% del mercato europeo dei motori di ricerca.
L’indagine è nata il 30 novembre del 2010 i seguito agli esposti della concorrenza. Tutto ha avuto inizio con le proteste di Foundern, sito britannico di comparizione dei prezzi, e Justice.fr, sito francese di servizi legali. I due portali hanno accusato Google di far comparire in basso le loro pagine nei risultati di ricerca. Nove mesi dopo la Commissione ha aperto un’indagine formale per abuso di posizione dominante. Sono quattro i filoni dell’inchiesta. In primo luogo, ci si chiede se Google abbia veramente abusato della sua posizione per sfavorire altri motori di ricerca come, per l’appunto, Foundern e Justice.fr.
In secondo luogo, l’indagine verte su una possibile degradazione del “quality score” dei concorrenti di Google. I punti di qualità si riferiscono ai servizi a pagamento, per intenderci quelli che compaiono in alto a destra nella pagina di ricerca. Un punteggio di qualità alto indica che gli annunci immessi da un motore di ricerca sono rilevanti e utili per gli utenti. A una buona valutazione conseguono maggiori investimenti pubblicitari.
Un altro filone riguarda la presunta clausola di esclusività con cui Google impedirebbe gli investitori pubblicitari di inserire annunci dei concorrenti sulle sue pagine. Infine, l’inchiesta ha ad oggetto la possibile restrizione della portabilità delle campagne pubblicitarie online verso le piattaforme concorrenti. In pratica, Google non offre ai proprietari di siti web strumenti per esportare gli annunci pubblicitari su altri motori di ricerca.
I vertici di Google si sono difesi, asserendo che l’utente è libero di andare su altri siti e trovare altre informazioni. L’arringa è stata smontata da Microsoft, sceso in campo contro Mountain View nel marzo 2011. Brad Smith, consulente legale del colosso di Redfort, ha ricordato che la competizione non si basa sulla semplice ricerca, ma anche su strumenti alternativi come l’indicizzazione del web e la distribuzione dei search box.
Per quanto riguarda il primo punto, Smith ha accusato Google di aver impedito agli altri motori di ricerca di accedere a Youtube (che dal 2006 è di proprietà di Google). In più, nel 2010 avrebbe negato a Windows Phone l’accesso al noto sito di condivisione dei video, permettendolo invece all’Iphone di Apple. Un’altra accusa del legale riguardava le opere orfane. Con questo termine si definiscono le opere assoggettate al regime di protezione del diritto d’autore, ma i cui titolari di diritti sono sconosciuti e introvabili. Negli USA, Google ha scannerizzato i testi delle opere riservandosi di regolare i diritti per i possibili titolari. Il tribunale di New York ha bloccato il progetto Google Book, sostenendo che la concessione esclusiva a Google delle opere orfane avrebbe indebolito i concorrenti. Smith si è augurato che simili decisioni venissero prese anche dalle autorità europee. In merito ai search-box, le finestre di ricerca che i motori immettono su altri siti, Smith ha fatto notare che praticamente tutti fossero “powered by Google”.
Col passare dei mesi altri operatori si sono iscritti all’inchiesta contro Google. L’ultimo in ordine cronologico è Twenga, sito francese di comparizione dei prezzi, che ha fatto notare che il motore di ricerca americano promuove i propri servizi, penalizzando i siti dei concorrenti. Al giorno d’oggi, sono 10 i fornitori di servizi schierati contro Google tra cui anche Expedia e TripAdvisor. Ma Google, da parte sua, per bocca di Eric Schmidt, il presidente esecutivo, fino a qualche settimana fa negava di aver tenuto una condotta anticompetitiva. Eric Schmidt ha mostrato in modo chiaro la sua volontà di non piegarsi alle richieste dell’autorità antitrust dell’Unione Europea, criticando la vaghezza delle accuse.
Ora Google avrebbe cambiato le carte in tavola, concedendosi per un accordo pacifico. Tuttavia è improbabile che il colosso di Mountain View si rassegni tout court alle richieste dei competitor.
Sarà una sorta di accordo fittizio, che evita la multa, ma lascia invariata la situazione? Vedremo

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