L’agenzia delle Entrate potrà sospendere direttamente il professionista dall’albo di appartenenza nel caso in cui gli venga contestata la mancata emissione di quattro fatture nel l’arco di un quinquennio. Questa misura, introdotta con la manovra di ferragosto (articolo 2, comma 5, del Dl 138/2011 convertito dalla legge 148/2011), rischia però di creare più di un problema operativo sia ai professionisti che all’agenzia delle Entrate su modalità e tempistica delle contestazioni delle omesse fatturazioni che faranno scattare la sospensione.
Qualora, infatti, siano contestate a carico di soggetti iscritti ad albi o a ordini professionali, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell’obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi compiute in giorni diversi, è disposta in ogni caso la sanzione accessoria della sospensione dell’iscrizione all’albo o all’ordine. Tale sospensione opererà per un periodo variabile da tre giorni ad un mese e, in caso di recidiva, la sospensione varierà per un periodo da quindici giorni a sei mesi. Il provvedimento di sospensione è disposto dalla direzione regionale dell’agenzia delle Entrate competente per territorio in relazione al domicilio fiscale del contribuente. Tale provvedimento è immediatamente esecutivo e gli atti di sospensione sono comunicati all’ordine professionale ovvero al soggetto competente alla tenuta dell’albo affinché ne sia data comunicazione sul relativo sito internet. Nel caso in cui le violazioni siano commesse nell’esercizio in forma associata dell’attività professionale, la sanzione accessoria della sospensione è disposta nei confronti di tutti gli associati.
Nello specifico, l’estensione ai professionisti della sanzione accessoria della sospensione comporta effetti diversi rispetto alla semplice chiusura di un’attività commerciale.
Questa ultima previsione si va ad inserire in un contesto più ampio che, nel giro di pochi mesi, ha visto porre in essere una serie di modifiche restrittive per i professionisti. E così, con la manovra di luglio, è stato previsto per gli avvocati l’obbligo di indicazione del proprio codice fiscale anche nelle richieste di registrazione degli atti degli organi giurisdizionali e in tutti gli atti introduttivi di un giudizio, compresa l’azione civile in sede penale e o di prima difesa della parte. La ratio sottesa a tale obbligo, si legge nella circolare 41/E dell’agenzia delle Entrate, è stata quella di favorire l’amministrazione finanziaria nel l’individuare con maggiore celerità e completezza elementi utili ai fini del riscontro di un’eventuale presenza di violazioni degli obblighi fiscali.
Altra previsione importante è quella contenuta nella manovra di ferragosto ed in base alla quale sono stati re-introdotti i minimi tariffari, in quanto sebbene è prevista la possibilità di una deroga ad essi, tuttavia andrà formalizzata. Si legge nella manovra, infatti, che il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. È ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe stabilite con decreto dal ministro della giustizia.
La sospensione è la sanzione prevista per corrispettivi riscossi e non fatturati. Ma tali corrispettivi devono essere stati effettivamente riscossi. La richiesta di indicare il codice fiscale negli atti significa solo agevolare l’individuazione delle cause patrocinate da un avvocato, ma non può voler dire che per tutte le cause l’avvocato ha chiesto un onorario. È possibile che quell’onorario ancora non sia stato riscosso (essendo in vigore il principio di cassa e non essendo quindi legittimamente stata emessa la relativa fattura), così come è possibile che l’avvocato lavori rinunciando al compenso per cause che riguardino gli amici o anche per convenienza (ad esempio per fidelizzare la clientela) così come ha stabilito la Cassazione (20269/2010).
C’è una differenza sostanziale con i controlli effettuati davanti ai negozi o ai ristoranti per verificare il rispetto delle norme sulle ricevute fiscali e sullo scontrino. In questi casi, la prova del fatto illecito è acquisita agevolmente poiché vi è una flagranza, o una quasi-flagranza. Ben diversa è la situazione nel caso di un incontro tra il professionista e il cliente, che nulla offre sul piano della prova di un illecito.