Il dibattito attorno all’imminente legge sulle intercettazioni è imperniato sul confronto tra diritto all’informazione e diritto alla privacy. Ma come hanno risolto il problema i principali paesi europei?
Nel Regno Unito l’atto di riferimento è il Regulation of Investigatory Powers Act (RIPA), approvato nel 2000 dal Parlamento inglese. Una prima differenza tra il sistema britannico e quello italiano riguarda l’autorità preposta all’utilizzo delle intercettazioni. In Gran Bretagna è un potere che spetta alla polizia e ai servizi di sicurezza, mentre in Italia la decisione spetta ai magistrati. Altra macroscopica differenza: nel nostro paese l’intercettazione è utilizzata come mezzo di ricerca della prova, nel Regno Unito non ha valore probatorio. Il contenuto dell’intercettazione, se utile per determinate finalità, può essere inviato al procuratore, che svolge un ulteriore esame per decidere se trasmetterlo o meno alla difesa. Ma quali sono queste finalità? La sicurezza nazionale, il benessere economico, la lotta contro la criminalità organizzata. Inoltre l’intercettazione deve essere conforme ai requisiti di necessità e proporzionalità.
Una disciplina lineare, integrata da un sistema di garanzie molto articolato. Un giudice monocratico, l’Interception of Communications Commissioner, analizza la sussistenza dei requisiti citati per decidere se rilasciare l’autorizzazione all’avvio della procedura. Il Commissioner stabilisce se le informazioni ottenute con l’intercettazione possono essere acquisite con altre tecniche. Il mandato per un’intercettazione ordinaria è di tre mesi, ma sono previste proroghe di altri tre mesi per crimini gravi e di sei mesi per i casi di sicurezza nazionale e di protezione del benessere economico. Un’autorità indipendente nominata dal Governo (Investigatory Powers Tribunal) è la sede per il giudizio dei ricorsi presentati dai soggetti intercettati.
La nomina delle autorità di vigilanza è stata effettuata dal primo dei due codici di condotta che hanno seguito il RIPA. Il secondo chiarisce che le informazioni raccolte con le intercettazioni non possono essere diffuse se non nei limiti delle finalità per cui sono state autorizzate. In più tutela il diritto alla privacy, nella parte in cui dice che i risultati ottenibili con l’intercettazione non devono provocare gravi cambiamenti nella sfera privati degli individui coinvolti.