L’INTERVENTO DI PAOLO ROMANI OGGI AL SENATO SULLA QUESTIONE FREQUENZE (Testo e Video)

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Il resoconto stenografico dell’intervento del Sottosegretario allo sviluppo economico Paolo Romani nel corso dell’odierna seduta al Senato in merito alla questione legata alle frequenze.





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"Questa mattina ho ascoltato con attenzione molti
interventi: i toni erano molto più pacati di quanto fossero in esordio della
discussione del noto emendamento che abbiamo introdotto nel decreto cosiddetto
salva-infrazioni. In molti interventi si è però fatto cenno alle frequenze. Al
riguardo, volevo fornire alcuni dati al Senato, perché francamente vale la pena
che rimanga traccia di alcuni numeri inerenti al problema delle frequenze. Molti
hanno detto e sostenuto, sia questa mattina che alla Camera nella scorsa
settimana, ma anche nelle polemiche che accompagnano nel Paese tutte le materie
che riguardano la televisione, che i due operatori esercitano l’80 per cento,
cioè utilizzano (quindi occupano) l’80 per cento delle frequenze analogiche.

Questo è un errore anche perché è stato fatto un catasto,
cioè un lavoro fatto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, l’Agcom,
e anche dal precedente Governo (intendasi il ministro Gentiloni), attraverso il
quale si è rilevato che il catasto ha dato a RAI e Mediaset la gestione, nel
senso che ha consegnato in un censimento effettuato il 50 per cento delle
frequenze, ovverosia circa 10.000 impianti su un totale di 20.000: più
precisamente la RAI ha il 29 per cento e Mediaset il 22 per cento. Il 40 per
cento di queste 20.000 frequenze è gestito dalle emittenti locali, con il che
emerge un dato profondamente diverso da quello che più di una volta
polemicamente si sostiene sia.

Siccome nell’emendamento si fa anche cenno alla procedura
utilizzata in Sardegna per la digitalizzazione (è la prima Regione in cui ciò
avviene), ed una procedura definita dall’Agcom alla quale si fa riferimento nel
nostro emendamento, è importante anche su questo punto consegnare ai Resoconti
parlamentari alcuni dati. Il Ministero prevede che solo un terzo dei circa 35
multiplex (si tratta di quegli impianti attraverso i quali viene trasmesso il
segnale digitale: ogni multiplex, ricordo, gestisce cinque canali digitali,
quindi ci riferiamo ad un numero molto alto) venga assegnato ai due principali
operatori nazionali, più di un terzo sia destinato alle emittenti locali ed il
restante terzo (circa 10 multiplex) sia utilizzabile da soggetti come Telecom,
Rete A, Dfree, H3G (che sfrutta il protocollo DVB-H, che consente di vedere la
televisione sui telefonini) oltre ad un dividendo digitale di due multiplex. Ciò
vuol dire che alla fine della conversione da un regime analogico ad un regime
digitale, in Sardegna ci saranno 2 multiplex che il Ministro potrà attribuire.
Quindi, si tratta della bellezza di 10 canali.

Siccome ho sentito alcuni accenni critici questa mattina, ma
anche nei giorni scorsi, sulla procedura che è stata utilizzata in Sardegna,
voglio solo sommessamente ricordare ai colleghi del Partito Democratico che nel
loro programma c’è scritto che «i criteri di proporzionalità, non
discriminazione, trasparenza e apertura a nuovi entranti che sono stati adottati
per la transizione in Sardegna» – sto citando il programma del Partito
Democratico – «saranno alla base della transizione nazionale»; ciò significa
che il modello sardo, che il Governo Berlusconi precedente, il Governo Prodi
successivamente ed il Governo attuale stanno attivando e attuando, è un modello
di riferimento virtuoso.

Tornando più precisamente al nostro emendamento, volevo,
anche in questo caso molto sommessamente, rifare la storia delle tante
polemiche, a mio avviso un po’ inventate, su quel famoso periodo che è stato
poi eliminato. Perché avevamo inserito quel periodo? Perché nel Codice delle
comunicazioni, all’articolo 28, si dice letteralmente: «Al fine di agevolare la
conversione del sistema dalla tecnica analogica alla tecnica digitale (…)
prosegue con l’esercizio degli impianti di diffusione e di collegamento
legittimamente in funzione alle data di entrata in vigore», quindi c’è scritto
con chiarezza che gli impianti analogici proseguono la loro attività.

L’Europa, tra le tante procedure d’infrazione che avrebbero
potuto essere attivate, in questo caso ci ha detto che non le basta sapere che
funzionino, ma che vuole avere una data di chiusura, di cessazione, e questo è
quello che era stato fatto; nel periodo, che poi è stato eliminato perché su
di esso si è innestata una polemica politica assolutamente pretestuosa, era
stata messa, con definizione identica a quella che ho appena citato al comma 1
dell’articolo 28, una data di chiusura e di cessazione degli impianti.
Francamente quindi non abbiamo capito, ma abbiamo accettato che la polemica
politica in questo caso non ci consentisse di portare avanti quel ragionamento
ed abbiamo consentito di togliere questo periodo.

Altri due punti sono stati inseriti in questo emendamento:
l’Europa ci chiedeva che si passasse da un regime di abilitazione e di licenza
ad un regime di autorizzazione, il che vuol dire, in parole povere, che chiunque
faccia una DIA, una dichiarazione di inizio attività, ha l’autorizzazione a
trasmettere, quindi non è più un titolo abilitativo con valore di licenza, ma
è un titolo di autorizzazione generale. Questo consente di risolvere il secondo
problema che ci veniva contestato dall’Europa, quello dell’accesso a quello che
viene chiamato in gergo tecnico il trading, cioè il mercato delle
frequenze: chiunque può accedere al mercato delle frequenze e non ha questa
barriera all’accesso che l’Europa non ci consentiva di avere.

Ma il passaggio più importante (su questo il senatore Vita,
a mio avviso, ha detto una cosa inesatta questa mattina) lo trovo nel comma 5
dell’articolo 8-novies, in cui sostanzialmente il Governo si riserva, nei
successivi tre mesi dalla data di approvazione di questa legge, il diritto di
definire un calendario; quindi il Ministero o il Ministro o il Governo non
assume una gestione diretta delle frequenze, ma definisce solamente un
calendario in base ad un piano di attuazione che rimane per intero alla Agcom;
si consente in tal modo di accelerare non dico al nostro Paese perché abbiamo
uno switch off che scade nel 2012 – anche se non eravamo d’accordo su una
data così lontana – ma probabilmente di accelerare un percorso sulle Regioni più
importanti e di fare in modo che nell’arco del 2009, 2010, forse 2011, molte
Regioni italiane possano passare da un regime analogico ad un regime digitale.
Questo è il senso complessivo dell’emendamento che abbiamo inserito nel
decreto-legge, ovviamente parlo solo per la materia di mia competenza, ma mi
sembrava che su questo punto almeno vi potesse essere un accordo complessivo.

L’Europa ci ha fatto alcune domande, abbiamo dato velocemente
e concretamente alcune risposte, abbiamo usato un vettore legislativo veloce
come può essere quello del decreto e su questa base oggi siamo in grado di dire
all’Europa che su questi tre punti (non quattro come avremmo voluto) abbiamo
dato una risposta.

Tutto questo per evitare che l’Europa, la Commissione
europea, in particolare il commissario Kroes, che è già arrivata al secondo
grado della procedura d’infrazione, cioè al parere motivato, eviti di passare
al terzo grado, che è quello del deferimento alla Corte di giustizia. Penso che
sia stato un buon lavoro, mi auguro che il Senato prenda atto anche delle
precisazioni di carattere tecnico che ho voluto dare, per quanto di difficile
comprensione, ma che quantomeno rimarranno a verbale".

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