GOOGLE: INTERNET È STRUMENTO DI DEMOCRAZIA, CONSENTE AI PICCOLI DI GAREGGIARE CON I GRANDI

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Carlo D’Asaro Biondo, vicepresident di Google e country manager ad interim per l’Italia, passa al contrattacco e risponde alle accuse che vengono rivolte a Mountain View dai suoi “nemici” storici, broadcaster televisivi e operatori telefonici in primis. Partendo dalla scelta di non investire direttamente nel nostro Paese e di preferire regimi fiscali meno oppressivi, come l’Irlanda. Ma uscendo anche allo scoperto con aziende come Mediaset e Sky, che sostengono di vedere i loro contenuti scippati da piattaforme come Youtube a fronte di investimenti annui in nuovi contenuti, solo in Italia, pari a oltre un miliardo di euro. Mentre si aprono fronti mediti con gli editori, con il lancio di un nuovo sfogliatore digitale che vorrebbe fare concorrenza a Flipboard e ribattezzato Google Currents.
L’Agcom dovrebbe varare entro la fine del suo mandato una norma sul copyright che, almeno nella sua formulazione iniziale, potrebbe attribuirle il potere “amministrativo” di oscurare i siti pirata. Una facoltà che, fino a oggi, è stata esclusiva della magistratura. Cosa ne pensa?
Quando parliamo di lotta alla pirateria prima di decidere chi oscura dovremmo fare chiarezza su cosa è lecito oscurare. Cioè su cosa viola effettivamente il diritto d’autore. Su questo punto vedo che ci sono opinioni diverse. E chiaro che se parliamo di pedopornografia o di qualsiasi altra forma di violenza è tutto semplice, ma quando c’è di mezzo il diritto d’autore la materia si complica. Qualsiasi norma che verrà approvata in relazione a internet dovrà tener conto degli interessi della società e non dell’industria.
Google è uno dei motori dell’innovazione nel settore tecnologico, ma in molti vi accusano di violare i contenuti altrui, di essere dei “parassiti”. Cosa risponde?
Nessun parassitismo. Google ha un atteggiamento molto responsabile nei confronti del diritto d’autore, siamo coscienti che la nostra dimensione aziendale ci obbliga a un comportamento fortemente protettivo nei confronti del copyright e siamo convinti che senza protezione dei contenuti si danneggi la creazione. Però è necessario tutelare la libertà di espressione dei soggetti più piccoli.
Mi permetta: è curioso che la tutela dei piccoli sia delegata a un’azienda che capitalizza oltre 200 miliardi di dollari in Borsa e che, in alcuni settori strategici, ha una posizione di monopolio non trascurabile.
Internet è un grande strumento di democratizzazione e piattaforme come la nostra consentono ai piccoli di gareggiare con i grandi. Youtube, per esempio, permette a molti artisti sconosciuti di emergere e di farsi conoscere a una platea incredibilmente vasta.
Aziende come Mediaset e Sky sono molto dure con voi. Dicono che vi appropriate dei loro contenuti e che generate ricavi attraverso le inserzioni pubblicitarie.
Google negli ultimi anni ha fatto un gran lavoro in merito. Abbiamo investito oltre 30 milioni di dollari per creare Content Id, uno strumento che consente a chi lo desidera di eliminare dalle nostre piattaforme i contenuti che si vogliano proteggere. Vorrei inoltre ricordare che ridistribuiamo il 70% dei ricavi pubblicitari ai produttori di contenuti.
Eppure vi viene contestato che Content Id funzioni solo su segnalazione, infatti sono i produttori che vi devono dire cosa togliere. Loro ritengono che quest’onere spetti a voi.
E una questione di buon senso. Come potremmo agire se non dietro segnalazione, con tutti i video che vengono caricati ogni secondo su Youtube?
Con il porno ci riuscite.
Anche qui, agiamo dietro segnalazione e comunque in questo caso è più semplice perché c’è un software che riconosce l’incarnato umano, il colore della pelle, e quindi fa scattare tutta una serie di alert. Se Mediaset compra un film da Time Warner come facciamo a saperlo? Che il proprietario dei contenuti si rifiuti di dire che il contenuto è suo mi sembra strano.
In molti rimarcano il fatto che Google non investa in Italia e in più che non paghi le tasse nel nostro Paese.
E’ demagogico sostenere che l’unico valore che un’impresa porta sia attraverso le tasse. Pagare le tasse non basta.
Però sarebbe già un discreto punto di partenza.
Ovvio, ma quello che voglio dire è che una multinazionale come Google può portare tanto valore anche indirettamente. In un mondo globalizzato una multinazionale applica le leggi che trova e se ci sono Paesi che hanno regimi fiscali pensati in un’era antecedente alla globalizzazione sarebbe meglio rivedere queste tassazioni. Pensi agli investimenti che facciamo in cultura, a un’iniziativa come Art Project che ha digitalizzato 32mila opere d’arte nel mondo.

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