Rai «moribonda, senza cultura e seviziata dalla politica. Serve un manager come Marchionne. Anche la Lei andrebbe bene, ma con libertà d’azione». Lo dice Pippo Baudo in un’intervista al Corriere della sera. Il conduttore si esprime sulla riforma della governance e sui rapporti con la politica; da consigli sul dg ideale e racconta un aneddoto significativo.
Baudo non usa mezzi termini per definire la Gasparri, «uno schifo di legge, ma non si può toccare».
In effetti con la scadenza imminente sarebbe troppo tardi per imbastire una nuova legge sul sistema radiotelevisivo.
Per il conduttore la soluzione potrebbe essere «quella di un dg forte per poter raschiare via tutte le incompetenze, per tappare i buchi del bilancio e restituire all’azienda un profilo da servizio pubblico». Tre imprese “titaniche”.
Dopo l’ipotesi Enrico Bondi (il “salvatore” della Parmalat), fatta appena ieri da Angelo Guglielmi su La Repubblica, spunta un altro nome di matrice industriale: Sergio Marchionne. Baudo non trasporterebbe tout court il manager della Fiat a Viale Mazzini. Il suo è solo un esempio sul tipo di capacità gestionali necessarie per risollevare la tv pubblica. Insomma non Marchionne, ma uno come lui. Messaggio ricevuto.
Era anche stato fatto il nome di Piero Angela che ha rifiutato. Baudo lo assolve e afferma che anche lui rifiuterebbe. «Noi siamo uomini da telecamera. Serve un manager».
Per Baudo andrebbe bene anche Claudio Cappon. Il nome del dirigente, già 2 volte dg Rai, è già circolato. Per il conduttore Cappone saprebbe dove «mettere le mani». Inoltre sarebbe anche una soluzione interna.
Riguardo all’attuale dg Baudo va contro corrente. Il conduttore la assolve motivando così: «la Lei non solo è lì da pochi mesi, ma ha pure ereditato un’azienda a pezzi. Il suo predecessore Mauro Masi è stato il peggiore dg nella storia della Rai». Baudo sarebbe propenso anche ad una conferma della Lei, a patto che le vanga data piena libertà d’azione.
Per il conduttore il vero “killer interno” della Rai è la lottizzazione politica. «Tutta l’azienda è orami farcita ad ogni livello da personaggi incapaci, messi lì dalla politica». Andando avanti nell’intervista capiamo che non è tanto l’influenza partitica in sé per sé a rovinare la Rai, ma come questa si esplica. Baudo cita la vecchia Democrazia cristiana che mise a comando Ettore Bernabei, dg Rai dal 1960 al 1974, «un personaggio di altissimo livello, che porto l’azienda all’interno di un modello culturale ancora oggi rimpianto». Allora la politica fece una scelta oculata. Non fu l’unica. Anche il Pci, a detta di Baudo, fece una scelta saggia assegnando Rai3 ad Angelo Guglielmi, «intellettuale straordinario che non stava lì ad ascoltare eventuali ordini urlati da Botteghe Oscure».
Per Baudo «furono i socialisti a piegare l’azienda al volere della politica. Poi, tempo dopo, arrivò il colpo di grazia dei berlusconiani». Attenzione, Baudo parla di berlusconiani, non di Berlusconi.
Il conduttore assolve e loda l’ex premier definendolo «il più grande intenditore di tv» e critica i suoi “scagnozzi” che «pensando di fare un favore al loro padrone, hanno trasformato la Rai in una tv commerciale, rendendola simile a Mediaset» che paradossalmente ne è rimasta danneggiata.
Alla fine dell’intervista Baudo racconta un succoso episodio di lottizzazione vissuta in prima persona. Si tratta della vicenda di un programma di intrattenimento, mai andato in onda, dal titolo emblematico (dopo capiremo perché): Mister Giallo. Baudo lo propone. Mauro Mazza, ancora oggi direttore di Rai1, «messo in Rai da Fini», approva a patto di appaltare le parti filmate alla Goodtime che Baudo scoprirà essere di Gabriella Buontempo, moglie di Italo Bocchino, allora pidiellino come Fini. I lavori proseguono. Intanto la scena politica cambia. Avviene la scissione dei “futuristi”. Fini e Bocchino fondano il Fli e si distaccano da Berlusconi. Qui avviene il “giallo”. Quando il progetto arriva a Mauro Masi, allora dg Rai, quest’ultimo sentenzia: «no, il programma non si fa». Il tutto con il beneplacito di Mazza. Il Perché di tutto questo? È un giallo, forse.
Egidio Negri