«La cricca del fango. Gli ossessionati dall’ex premier. È finita la rendita di posizione delle invettive al Caimano. Adesso è il giornalismo a dover fare un corso di aggiornamento».
Le due righe precedenti sono un collage di due titoli, rispettivamente de Il Giornale e di Italia Oggi, che hanno un comune denominatore: la critica al giornalismo appiattito sull’anti Berlusconismo.
Alessandro Sallusti, su Il Giornale, afferma che molti programmi televisivi hanno “fatto fortuna” sparlando dell’ex premier, ovvero marciando sui guai giudiziari e sugli scandali sessuali del Cavaliere. Per Sallusti era ed è robaccia che ha fatto arricchire conduttori di programmi che, con il “cambio della guardia”, nessuno guarda più. Il giornalista cita come esempio il flopo di Sabina Guzzanti su La7. «Per 3 ore l’ex ragazza prodigio della satira politica ha fatto ridere soltanto, e a comando, il pubblico di figuranti in sala». In effetti il 4% di share da ragione a Sallusti. Poi c’è la puntatina sull’ex conduttore di Annozero. «L’ossessione di Berlusconi ha fatto capolinea anche da Santoro che ha riempito la sua trasmissione di mafia, mafiosi, figli di mafiosi, pentiti e figli di pentiti per volere tenere disperatamente in vita mediatica ciò che non ha più ascolti nemmeno nei tribunali». Stiamo parlando della relazione tra Mafia e Forza Italia. Magari il Servizio Pubblico di Santoro avrà avuto qualche ascoltatore in più o in meno, ma non è questo il punto. Il fatto è che, secondo Sallusti, i giornalisti non si sono affrancati dalla facile e obsoleta critica a Berlusconi. Insomma il “format” è andato bene negli scorsi anni e nessuno vuole lasciarlo.
Passiamo ad Italia Oggi. In un articolo della settimana scorsa si leggeva: «ci toccherà fare tutti un corso di aggiornamento [perché] calerà il sipario, oltre che sull’ormai patetica pochade delle politiche identitarie in caricatura, anche sulle commedie giudiziarie. Niente più sciacquette marocchine sul banco dei testimoni, né nababbi buoni contro sardanapali cattivi per il controllo di immense macchine di propaganda. Sarà dura, oltre che per i politici senz’arte né parte, anche per il giornalismo militante e “nemicodipendente”». Insomma un altro modo per criticare la presunta povertà del giornalismo meramente anti-berlusconiano. Ideologia ben spiegata da una domanda retorica: «A chi rivolgere “dieci domande dieci” quando ci saremo scordati persino il nome (non diciamo la pancetta, i tacchetti e la vita sessuale) del Caimano?».
Il giornalista di Italia Oggi, dal nome esotico, Ishmael, da uno sguardo lucido, cinico e soprattutto critico sul modus operandi del giornalismo nostrano, «che sa fare la voce grossa ma non sa fare altro, un giornalismo modellato sulle iperboli ideologiche incarnate da una classe politica tradizionalmente inetta e caciarona, semplicemente non è in grado d’offrire riflessioni sobrie, meditate e soprattutto sensate all’opinione pubblica».
Ishmael crede che la seconda repubblica sia tramontata e che il governo tecnico abbia «già cambiato in profondità (ancora è difficile dire se in meglio o che) la scena politica nazionale».
Dunque la politica è cambiata. Che cambi anche il mondo dell’informazione. Il consiglio è semplice: «frequentare un corso d’aggiornamento».
Egidio Negri