In dirittura d’arrivo il pacchetto editoria del governo Prodi. La revisione delle regole messo a punto, dopo lungo lavoro, da Palazzo Chigi, si pone l’obiettivo di razionalizzare e dare trasparenza al sistema. Ben nove articoli del disegno di legge sull’editoria che va venerdì all’esame del consiglio dei ministri, sono infatti dedicati alle provvidenze pubbliche, per stabilire i paletti oltre ai quali giornali di partito o di cooperative editoriali non riceveranno più soldi pubblici. Si parla di cooperative che devono avere come soci almeno il 50% dei giornalisti dipendenti, o di organi di partito che facciano riferimento a forze politiche che abbiano un gruppo parlamentare in una delle camere, o ancora di quotidiani italiani all’estero o di minoranze linguistiche.
Ciò che più importa sono però i rapporti minimi fra le copie realmente diffuse e la tiratura (almeno il 30% per i giornali nazionali e il 60% per quelli locali), così come si stabilisce che le copie regalate o quelle svendute (con sconti superiori al 50%) non possano entrare nel computo totale.
Ma il ddl si dilunga parecchio elencando una serie di condizioni che vanno dal divieto di distribuzione degli utili, al numero minimo di giornalisti (3 per i periodici e 5 per i quotidiani) e di uscite annuali. Così come saranno esclusi i giornali venduti in “panino”, cioè in abbinata con altre testate, e non solo per l’intero anno di riferimento dei contributi, o quelle che raggiungano determinati limiti di raccolta pubblicitaria (il 40% dei costi dell’impresa). Dopo i limiti il ddl prosegue con la determinazione precisa dell’ammontare dei contributi, che dipenderà da tiratura, diffusione e costi per l’edizione e diffusione. Il contributo è del 40% dei costi a cui si aggiungono 200 mila euro per tirature da 10 mila a 50 mila copie e 400 mila euro ogni 10 mila copie per tirature dalle 50 mila in su.
Le novità, però, non si fermano qui e quello dei contributi non è l’unico elemento importante della nuova disciplina delle imprese editoriali.
Come sottolineato più volte dal sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega per l’editoria, Ricardo Franco Levi, lo scopo del ddl è favorire il pluralismo, ed ecco comparire una serie di norme che riguardano le posizioni dominanti fra editori di quotidiani, periodici e di libri.
Così come accade con un altro settore delicato come quello delle telecomunicazioni, sarà l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a dover fare da guardiano. Limiti precisi non ne sono stati posti, ma una volta che l’Agcom stabilirà quali sono i cosiddetti mercati rilevanti vedrà anche quali dei gruppi editoriali hanno una posizione lesiva della concorrenza. Per esempio potrebbe accadere che uno dei mercati individuati sia quello dei quotidiani nazionali, di lì gli indicatori saranno la raccolta pubblicitaria di ciascun soggetto e le copie diffuse. Il primo effetto sarà la perdita delle provvidenze pubbliche, nel caso si percepiscano. Il secondo, dopo il richiamo non rispettato dell’authority che impone per esempio la cessione di una testata, una sanzione dal 2 al 5% del fatturato dell’ultimo esercizio. In tutto questo non resta fuori l’editoria libraria, che fa parte a pieno titolo della materia di questo ddl. A proposito di libri, il limite massimo dello sconto praticabile sul prezzo di copertina si ferma al 15%, anche se in particolari occasioni (e non si può parlare di saldi) si arriva al 20%. Un tema quest’ultimo non indifferente per il settore librario, che ha visto contrapposti da una parte grandi catene, compresa la grande distribuzione, e piccoli librai ed editori, che chiedevano che non si ampliasse eccessivamente il margine di manovra. Sparisce definitivamente l’obbligo di registrare la testata al tribunale, mentre tutti coloro che esercitano l’attività editoriale di qualsiasi tipo sono tenuti a iscriversi nel Registro degli operatori della comunicazione, che tiene sempre l’Agcom. Al registro si devono iscrivere anche «coloro che svolgono attività editoriale su internet» e con tutta probabilità questo sarà un passaggio da chiarire ulteriormente, dal momento che la semplice pubblicazione sul web potrebbe essere considerata attività editoriale.
Il mandato che infine viene dato al governo è quello di raccogliere tutte le norme sull’editoria in testo unico con lo sforzo di coordinare le varie norme e di adeguarle anche al diritto comunitario.