PRIVACY: DAGLI USA, UN POSSIBILE GIRO DI VITE SULLE POLICY DEI DISPOSITIVI iOS E ANDROID

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Il senatore democratico Charles Schumer ha invitato l’Antitrust Usa ad indagare sulle “falle” riscontrate nelle applicazioni dei device della Apple e di Google.

«I produttori di smartphone dovrebbero mettere in atto misure di sicurezza per essere sicuri che le applicazioni di terze parti non siano in grado di violare la privacy di un utente, rubandogli le fotografie o i dati che il consumatore non intende rendere pubblici», così si è espresso il politico in una lettera inviata alla Federal Trade Commission.

La questione si riferisce al comportamento invasivo della privacy tenuto da alcune app in uso nei sistemi operativi iOS ed Android e portato alla luce da un’inchiesta del New York Times dei giorni scorsi. Nel caso dei dispositivi della Mela lo schema di azione risulta alquanto subdolo. L’utente, dando il proprio consenso all’identificazione della propria posizione geografica per l’attivazione di mappature o di altri servizi di geolocalizzazione, innescherebbe in automatico anche l’accesso, da parte del software, all’intero archivio di foto e video muniti di coordinate su data e luogo di ripresa, permettendo così di compilare e memorizzare una cronologia dettagliata dei propri spostamenti.

Se per l’azienda di Cupertino, il meccanismo veniva notificato mediante un messaggio di pop-up (sebbene in violazione dei termini d’uso del servizio come dichiarato di recente dal Ceo di Apple, Tim Cook, che prescrive sempre un consenso esplicito del consumatore) non sembra essere lo stesso per gli smartphones Android, dove alcune applicazioni copierebbero per intero i file di raccolta delle immagini senza dare alcun cenno di avvertimento all’utente. Una prassi che verrebbe seguita proprio dalle app di accesso ad internet con l’aggravante di trasferire i dati raccolti su di un server remoto e con il rischio, per il consumatore, di vederli “postati online”, ribadisce il senatore Schumer.
Google si difende dalle accuse con l’ormai consueto mantra del “così fan tutti”, asserendo che si tratti di un comportamento condiviso con altre piattaforme come Windows e Mac OS.

Risposte che si sottraggono però dal fare chiarezza su responsabilità ben precise e che vedono entrambi i colossi in una posizione ambigua rispetto ad un’applicazione corretta delle rispettive policy verso i creatori di applicazioni.
Che sussistano inefficienze nei controlli è stato d’altronde implicitamente ammesso dallo stesso Ceo Apple, Tim Cook, nella sua risposta al Congresso Usa di metà febbraio, a proposito dell’accesso effettuato dall’app Path alla rubrica degli indirizzi contenuti negli iPhone (nomi, numeri telefonici, e-mail) con tanto di trasferimento dei dati presso i server della società. Un comportamento subito bollato come illecito dalla stessa Apple, quando ormai il danno era stato arrecato e mancando di specificare quali delle oltre 600mila apps sviluppate da terzi e non monitorate, fossero ulteriormente responsabili di simili violazioni.
Ciò che auspica il Senatore Schumer è proprio un intervento dell’Antitrust che, una volta attivato, sia in grado di obbligare Google ed Apple ad apportare alcune sostanziali modifiche alle rispettive policy sulla privacy e ai termini d’uso dei servizi, almeno quelli relativi al comparto mobile. Un impegno in realtà già sottoscritto anche se solo in forma volontaria dai due colossi mediante la firma di un accordo comune con gli altri grandi player del mercato (Microsoft, Research in Motion, Amazon e Hewlett-Packard), che dovrebbe garantire agli utenti una maggiore trasparenza sulle modalità di trattamento dei propri dati al momento del download di qualsiasi applicazione dei dispositivi mobili in uso (tablet e smartphones). Garanzie sui cui dettagli non è ancora dato di sapere ma la cui formula “volontaria” potrebbe già di per sè risultare non sufficiente a fronteggiare l’entità degli abusi appena denunciati.
Un avvertimento in tal senso è arrivato proprio da un portavoce della FTC della divisione privacy, Christopher N. Olsen, che sulle colonne del New York Times aveva invitato l’industria a “raddoppiare i propri sforzi” sul fronte della protezione dei dati degli utenti, pena un intervento legislativo da parte del Congresso.

Manuela Avino

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