L’Acta non pregiudica i diritti e le libertà fondamentali garantiti dai trattati europei. Lo afferma Karel De Gucht, giurista e politico belga, ma soprattutto commissario europeo. Tuttavia le numerose proteste suscitano dubbi. Sulla rete un video invita a firmare una petizione contro l’Acta mostrando argomentazioni sono tutt’altro che deboli.
Iniziamo dall’opinione di De Gucht che non fa altro che riportare l’idea condivisa dalla Commissione europea. Il politico belga, in una lunga disamina riportata da Il Messaggero, spiega la sua versione dell’Accordo commerciale anti-contraffazione. «L’Acta non spalancherà le porte alla censura della rete. Non porterà al controllo delle nostre mail o dei nostri blog. Non subappalterà le funzioni della polizia postale a operatori internet privati. Non limiterà la vendita di medicinali generici legali. Non darà luogo a ispezioni di computer portatili o lettori mp3 da parte dei funzionari doganali». Se avesse detto che non impedirà la diffusione delle sementi per i Paesi poveri, avrebbe sfatato in poche righe tutti i dubbi che Acta suscita.
De Gucht si professa un grande difensore dei diritti umani e dichiara che non farebbe mai nulla che andasse contro ai suoi principi etici e politici. Per il commissario europeo l’Acta non farebbe altro che precisare e standardizzare il concetto di proprietà intellettuale in Europa e nel mondo, in modo da tutelare al meglio le opere d’ingegno, i diritti d’autore, i marchi e i brevetti. Acta non sarebbe altro che un’arma condivisa per combattere la contraffazione e la pirateria. Inoltre sarebbe un «trattato di esecuzione», ovvero non entrerebbe nei dettagli specifici, ma si accontenterebbe di formulare i principi base e «le procedure mirate ad assicurare che tali diritti siano tutelati».
Nelle piazze e sul web circolano idee diverse. L’opinione pubblica era ed è contraria all’Acta. Per molte associazioni e movimenti in difesa della libertà sarebbe un colpo mortale per l’attuale modo di concepire il web.
In un video che promuove una petizione contro Acta si ascoltano queste parole: «Puoi immaginare il tuo internet service provider controllare tutto ciò che fai online? Puoi immaginare farmaci generici, che potrebbero salvare delle vite, messi al bando? Puoi immaginare semi che potrebbero nutrire migliaia di persone tenuti sotto controllo e trattenuti nel nome dei brevetti? Tutto questo diventerà realtà con Acta. Acta è l’accordo su commercio e anti-contraffazione. Mascherato da accordo commerciale, Acta va molto, molto oltre. Negli ultimi tre anni, Acta è stato negoziato in segreto da 39 paesi. Ma i negoziatori non sono stati democraticamente eletti. Non ci rappresentano, ma stanno decidendo le leggi alle nostre spalle. Scavalcando il processo democratico, impongono nuove sanzioni penali per fermare il file sharing in rete. Acta mira a rendere gli internet service e access provider legalmente responsabili per ciò che fanno i loro utenti online. Trasformandoli in poliziotti e giudici digitali privati, che censurano le proprie reti. Le conseguenze sulla libertà di espressione sarebbero terribili. Nel nome dei brevetti, Acta darebbe alle multinazionali il potere di fermare farmaci generici prima che raggiungano le persone che ne avrebbero bisogno. E di impedire l’utilizzo di certi semi per la coltura. Il Parlamento Europeo presto voterà su Acta. Questo voto sarà l’occasione per dire “no” ora e per sempre a questo pericoloso trattato. Come cittadini, dobbiamo spronare i nostri rappresentanti a rigettare Acta».
Sarà difficile liquidare simili dubbi definendoli «timori e fantasie separate dai fatti».
Fatto sta che molti Stati, tra cui Ungheria, Polonia, Spagna, Bulgaria, Germania, complici le sentite proteste, stanno rinegoziando l’accordo.
Qualche settimana fa la cancelliera tedesca Angela Merkel ha rimandato la firma dell’accordo. Anche il ministro della giustizia teutonico ha dichiarato che l’Acta necessita di un’attenta analisi.
E in Italia? Se ne parla troppo poco. In troppo ignorano la vicenda.
Il Parlamento europeo dovrà ratificare il trattato l’11 giugno 2012. Il tempo per fare chiarezza c’è.
Egidio Negri