RIFORMA COPYRIGHT/LO STOP DELL’AGCOM MENTRE IN SENATO AVANZA IL DDL BUTTI

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Dopo due anni di consultazione l’Autorità cala il sipario sulla delibera 398/11/CONS. Uno stop alle contrattazioni che sembra aver congelato il discusso schema di regolamento mediante cui l’Agcom avrebbe dovuto esercitare un potere di intervento nella tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica. Con la previsione di una procedura amministrativa, alternativa a quella giudiziaria, si sarebbe infatti garantita una prassi di contrasto capillare agli abusi perpetrati su internet. Un iter che contemplava la richiesta di rimozione dei contenuti coperti da copyright (procedura mutuata dagli Usa del “notice and take down”) secondo valutazioni discrezionali e con multe fino a 250mila euro ma escludendo da un potenziale provvedimento di inibizione i portali privi di finalità commerciale e scopo di lucro, nel rispetto del principio del “fair use”.

Il vuoto lasciato dall’Autorità dovrebbe ora essere colmato da una riforma strutturale in materia di Intellectual Property Rights, inaugurata dal Governo Monti con gli artt. 39 ed 87 del DL Liberalizzazioni, e che trovi un’applicazione più puntuale nella regolamentazione dei nuovi mezzi di diffusione digitale dei contenuti coperti da copyright, offerti dalla Rete. Un compito, quello di legiferare sulle norme primarie, che secondo i parlamentari – Vincenzo Vita (PD), Felice Belisario (IDV), Marco Perduca (Radicali) e Flavia Perina (FLI) – deve essere affidato al Parlamento, evitando qualsiasi potenziale conflitto con il lavoro dell’Agcom.
Un primo approccio ma per lo più orientato all’enforcement del diritto d’autore, ha già fatto la sua ricomparsa (seppur in sordina) in Commissione Giustizia del Senato lo scorso 21 e 28 febbraio, con la discussione in sede referente del disegno di legge del Senatore del Pdl, Alessio Butti (atto n.2297). Un testo presentato nel 2010 e che dietro la promessa di maggiori tutele per l’opera editoriale, di fatto si propone di vietare a terzi “l’utilizzo o la riproduzione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, di articoli di attualità pubblicati nelle riviste o nei giornali, allo scopo di trarne profitto”. Una misura di “compromesso” che avrebbe lo scopo di garantire la tutela della proprietà intellettuale sia nelle forme tradizionali della carta stampata sia in quelle digitali della diffusione via internet. Una mediazione, per così dire, che verrebbe affidata alla sottoscrizione di accordi “tra i soggetti che intendano utilizzare i suddetti articoli, ovvero tra le proprie associazioni di rappresentanza, e le associazioni maggiormente rappresentative degli editori delle opere da cui gli articoli medesimi sono tratti”.
In definitiva, senza la presenza di suddetti patti bilaterali, non solo le testate giornalistiche online, ma anche i motori di ricerca, i blog di informazione ed i siti aggregatori di notizie, sprovvisti di licenza, rischierebbero di vedere limitate se non interrotte le proprie ordinarie attività. Vediamo il perché.

Il provvedimento che sarà oggetto di ulteriori audizioni nonché di futuri approfondimenti, si propone di modificare l’art. 65 della legge 22 aprile 1941, n. 633, proprio in quel Quinto capitolo relativo alle libere utilizzazioni in materia di tutela della proprietà intellettuale dell’opera editoriale, con l’introduzione di un semplice comma 2-bis da 637 caratteri. La normativa vigente (artt. 7 e 38 Lda 633/1941) stabilisce già la possibilità per i giornali di avvalersi della riproduzione riservata che impedisce a qualsiasi altra testata, cartacea o online che sia, di copiare un determinato articolo ed imponendo in ogni caso di citarne sempre la fonte ed il nome dell’autore.
Convalidare l’estensione del copyright così come previsto dal ddl in discussione, equivarrebbe a porre, ex lege, i consueti paletti alla libera circolazione dell’informazione online, con il potere conferito dalla genericità di termini come “utilizzo in qualsiasi forma” ed il più incisivo di tutti, “profitto”. Verrebbe infatti da chiedersi quale motore di ricerca, blog o sito aggregatore non indicizzi o linki in un post, il contenuto o alcuni estratti di un articolo di attualità, stralci di un’intervista, affidando la propria sopravvivenza ai ricavi ottenuti dalle inserzioni pubblicitarie. Tale prassi sarebbe dunque sufficiente per incorrere in un’attività di lucro sulla proprietà intellettuale vantata dagli editori? Occorre prima ottenere un accordo scritto per poter esercitare alcuni diritti fondamentali, come quello di critica e di cronaca, la libertà di informare e di essere informati?
Ma le perplessità non finiscono qui. Suddetto impianto normativo andrebbe per giunta ad incidere su un principio garantito dall’art. 70 della stessa Legge sul Diritto d’Autore che definisce liberi “il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico, se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera”.
Perché mai allora scegliere che siano le maggiori associazioni di rappresentanza, e non i singoli editori, a stabilire la misura e le modalità di riscossione del compenso dovuto, per la licenza di utilizzo e riproduzione? Sembra che lo “spettro” delle corporazioni non ci pensi proprio a rinunciare alle tutele a tutto campo. E ad infittire i dubbi intorno alla reale buona fede del provvedimento ci pensa la previsione di convocare alle future audizioni solo i rappresentanti della Fieg, del Dipartimento per l’informazione, e ovviamente l’Agcom, lasciando fuori, per adesso, tutte le altre categorie interessate dal disegno di legge. Una scelta che, almeno finora, sembra contraddire l’opportunità politica di un intervento di “riforma strutturale” delegato al Parlamento.

Manuela Avino

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