2.400.000 FIRME PER FERMARE ACTA. MENTRE L’UE DECIDE GLI USA RINUNCIANO AL TRATTATO

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Nella giornata di ieri la Commissione per il Commercio UE si è riunita per discutere del controverso trattato ACTA. Nel pomeriggio di oggi parlamentari UE e rappresentanti della società civile analizzeranno i vantaggi che potrebbero derivare dall’adozione dell’accordo. La Commissione dovrà tenere conto delle petizione di 2.400.000 firme depositata nei giorni scorsi: tanti sono i cittadini europei che vorrebbero bloccare sul nascere il provvedimento. La maxi-richiesta promossa da Avaaz, organizzazione per la mobilitazione online, mette in luce i contenuti repressivi della convenzione, che consegnerebbe nelle mani dei titolari di diritti d’autore un potere pressoché illimitato verso gli utenti.
Tra il 19 e il 20 marzo la Commissione per le Petizioni si riunirà per discutere della richiesta, ma solo tra un paio di mesi sapremo se la proposta sarà accettata, e quindi inviata alla Commissione Europea, o rinviata ad un’altra Commissione Parlamentare.
Intanto dagli Stati Uniti, per bocca del liberal-democratico Guy Verhofstadt arriva un annuncio che ostacola ancora di più il nascente trattato. Il senatore Ron Wyden (foto), presidente delle sottocommissione per il commercio internazionale, ha fatto sapere che il governo USA non chiederà al Congresso l’assenso per la ratifica del trattato. Di conseguenza l’ACTA potrebbe non avere efficacia vincolante negli States.
Per Niccolò Rinaldi, europarlamentare dell’IDV, questa è la stangata definitiva alla credibilità del trattato. Il liberal-democratico sostiene che non ha senso ratificare un accordo pieno di misure facoltative, sulla base della volontà della Commissione Europea di imporre disposizioni obbligatorie. Rinaldi si fa portavoce del Congresso: «Nessuno degli attuali social networks sarebbe emerso se l’ACTA fosse stato in vigore. Per questo motivo è difficile che gli Stati possano arrivare ad un accordo».
Non mancano i soliti messaggi pro-ACTA di Karel De Gucht: «Non siamo in 1984, ACTA non è il Grande Fratello», dice il belga riferendosi al noto romanzo di George Orwell.
Giuseppe Liucci

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