Prima ha indicato ai pubblici ministeri nomi, circostanze e trucchi usati per aggirare la legge. Prima ha aperto il “libro” delle sue conoscenze, ha ricostruito il proprio ruolo e quello di altri nella gestione di società considerate scatole vuote, a margine dell’inchiesta sulla grande truffa dei fondi per l’editoria – oltre 23 milioni in 12 anni – di cui hanno beneficiato, stando all’impianto accusatorio della Procura di Napoli, il senatore Sergio De Gregorio e il faccendiere Valter Lavitola. Poi, dopo essere stato sentito a lungo dai pubblici ministeri di Napoli, quell’uomo è stato inseguito e aggredito, al Vomero. Pugni, calci, lui che reagisce e una borsa con carte e documenti portata via dagli ignoti “banditi”. Solo una coincidenza?
A chi fanno paura i ricordi e le documentazioni di quel teste? Che cosa può aggiungere, quel giovane sentito in Procura, alla storia di De Gregorio e Lavitola, entrambi nati come giornalisti, in comune anche il passato da socialisti e il ruolo di direttore de “l’Avanti”, poi trasformata nella loro macchina mangiasoldi?
Si tratta dell’ ultimissima puntata dell’inchiesta napoletana partita dagli appalti Finmeccanica, poi concentratasi sia sull’ipotesi della truffa relativa ai fondi per l’editoria destinati all’ex direttore de “l’Avanti “, sia sull’orizzonte della presunta corruzione internazionale relativa al ruolo di consulente di Valter Lavitola nei paesi esteri in cui le società del gruppo Finmeccanica hanno ottenuto importanti commesse.
E ora c’è un episodio inquietante da ricostruire, avvenuto parallelamente alla capillare attività d’indagine dei pubblici ministeri Vincenzo Piscitelli, Henry John Woodcocke Francesco Curcio. Il teste si chiama A. V., è un trentenne napoletano, di professione consulente del lavoro e commercialista. Ed è proprio in questa veste di consulente del lavoro che A. ha parlato ai magistrati che indagano sui misteriosi percorsi di quei milioni di euro fittiziamente riservati a “l’Avanti”. A. V. risulta infatti impegnato professionalmente fin dal 2004 al fianco di De Gregorio, ai tempi in cui si gettano le basi del network politico-imprenditoriale-commerciale “Italianinelmondo”: un po’ impresa per la distribuzione del made in Italy all’estero, un po’ società che commercializza (addirittura) cuoio e ombrelli, un po’ associazione culturale, e organizzazione politica. A. V. è un giovanotto di buone speranze, già intraprendente, quando certifica che quella società può vantare un capitale prezioso, 2 milioni di euro. Basta la sua parola. Il marchio vola, poi arriveranno le buone relazioni di De Gregorio, prima l’elezione del 2006 in Parlamento con l’Idv, poi l’ennesimo salto dopo la caduta del governo Prodi e il definitivo “patto” nel 2008 per l’elezione accanto al Pdl.
E’ da quel gradino iniziale che comincia la testimonianza di A. V. dinanzi ai magistrati di Napoli. I pm infatti appuntano la loro attenzione su una serie di società costituite negli anni che di reale hanno il nome e nient’altro. Una montagna di rendicontazioni false, di raggiri utili a ottenere dal dipartimento di Palazzo Chigi i 23 milioni di fondi per l’editoria, grazie ai buoni uffici di una coppia formidabile, Sergio e Valter.