Il quotidiano Terra è stato il primo a cadere, poi è venuto il turno di Liberazione ed ora è il Manifesto a dover piegarsi alla liquidazione coatta. Anche l’Unità è in pericolo e decine di altre testate sono sull’orlo del baratro.
E’ questa la conseguenza del taglio drastico dei finanziamenti all’editoria deciso dal Governo Berlusconi e confermato da Monti. Con la scusa di riordinare il settore, tagliando le “testate finte” che servono solo per ottenere il finanziamento pubblico, si sta producendo una moria di “testate vere” che fanno informazione spesso scomoda.
I conti:
Dai 450 milioni di alcuni anni fa si è passati ai 180 del 2010, ai 138 del 2011 e ai 53 del 2012 mettendo a rischio un centinaio di testate con circa 4mila dipendenti. Da l’Unità a left, dal Manifesto al Corriere mercantile, dai quotidiani alle radio e televisioni locali, è tutto un universo che sta per crollare. Un mondo parallelo e ben diverso da quello dei grandi gruppi editoriali sostenuti dalle imprese e dalla finanza, e ben lontano dai privilegi della televisione che la fa da padrona nel mercato pubblicitario, mai sfiorato da una riforma che ne garantisca una equa ripartizione delle quote. Questa fetta dell’informazione già tartassata dai governi di centrosinistra con la messa in crisi del diritto soggettivo, sotto il governo Berlusconi ha vissuto tre anni sull’orlo del baratro.
Ma il problema adesso non è solo l’aumento del Fondo editoria. Certo, è vitale per la sopravvivenza di tante testate. Ma chi opera nel mondo dell’informazione indipendente vorrebbe che l’opinione pubblica, cioè quei cittadini impauriti e arrabbiati per la crisi, comprendessero perché sono importanti questi fondi. Che non sono soldi buttati in un calderone che forse ha nutrito anche chi non se lo meritava. Ma i finanziamenti sono necessari per garantire il pluralismo dell’informazione. Chi dice che bisognerebbe tagliare questi fondi, allora pensa che si debbano tagliare anche i fondi alla cultura. E allora avrebbe vinto una concezione di destra, berlusconiana, per cui conterebbe soltanto il portafogli. Invece bisogna difendere i valori che garantiscono la convivenza civile e la libertà dei cittadini. Necessario quindi avere diverse opinioni e un racconto del Paese come possono fare le testate locali. Quando moriranno i giornali cosa resterà?.
Se non si impara da questa crisi non si imparerà mai. Per ricominciare serve un patto per l’informazione libera e critica dove tutti, piccoli e presunti grandi, possano stare sullo stesso piano.
Bisogna che tutti partano dal presupposto che la morte dell’altro non è uno spazio che si apre ma una opportunità che si chiude. Bisogna che finiscano le gelosie di testata ed anche un modo burocratico e corporativo di sentirsi giornalisti anche durante le crisi aziendali. Per ricostruire l’informazione di sinistra serve innanzitutto un bagno di realismo e di umiltà che consenta di costruire progetti sostenibili anche economicamente, adeguati ad una comunicazione moderna dove, ad esempio, la carta, pur rimanendo importante, non è più il centro.