Legittimi i rimborsi ai privati ma solo se verificati dai giudici tributari. Questo il nucleo della sentenza depositata lo scorso 2 febbraio dalla VI sezione del Consiglio di Stato che ha così posto alcuni punti fermi sull’annosa questione relativa all’esigibilità dei rimborsi sulle quote versate dal 2000 al 2009 alla Siae per l’obbligo di apposizione dei contrassegni olografici sui supporti multimediali prodotti e distribuiti in Italia (cd-rom, cd audio e dvd).
“Atteso il generale principio di irretroattività, non è consentito alla fonte regolamentare incidere sulla disciplina dei rapporti patrimoniali pregressi (anteriori o successivi alla citata sentenza della Corte di giustizia 8 novembre 2007), la cui definizione spetta al giudice munito di giurisdizione”, si legge nell’impianto della sentenza. Una pronuncia che tenta di fare chiarezza sull’attuazione di una normativa che in un decennio è stata dominata da non poche contraddizioni.
Tutto è iniziato quando la prassi della vidimazione dei cd e dvd con marchio Siae, introdotta per legge nel 2000 (art. 181-bis della Lda n.633/1941, modificata dalla Legge n.248/2000) e resa operativa con DPCM n.338/2001, è stata dichiarata “illegittima” nel 2007 dalla Corte di Giustizia Ue, per vizi procedurali connessi ad alcune previsioni della giurisprudenza comunitaria. Il richiamato decreto veniva riconosciuto dall’alta Corte Europea (sentenza n. 08/11/2007, C-20/05), come “misura tecnica” ai sensi dell’art. 1, punto 11, comma I della direttiva europea 98/34/CE, che, come tale e in ordine alla specificità della normativa adottata, imponeva allo Stato membro interessato, autore del provvedimento, l’obbligo (disatteso nel caso dell’Italia) di sottoporne il contenuto alla Commissione delle Comunità europee, al fine di verificarne la compatibilità con il diritto comunitario e con la libera circolazione delle merci.
In definitiva tale mancata notifica ha ottenuto non solo di privare di legittimità la pretesa punitiva dello Stato Italiano nei confronti di un privato colto in possesso di merce non munita di apposito contrassegno. Ma ha anche inaugurato l’iter dei rimborsi per il pagamento di una tassa, nei fatti, non più dovuta. Un giudizio confermato anche dalla Corte di Cassazione Penale che con sentenza 2 aprile 2008 n.13810 avrebbe ribadito l’irrilevanza penale delle sanzioni previste dalla Legge sul Diritto d’Autore (n. 633/1941) in relazione alla sola assenza dei bollini sui supporti multimediali: “l’inadempimento dell’obbligo di comunicazione costituisce un vizio procedurale sostanziale idoneo a comportare l’inapplicabilità delle regole tecniche ivi considerate. La disapplicazione opera anche se la regola tecnica sia contenuta in un atto avente forza di legge ed anche se la sua violazione sia punita come illecito”, si legge nel testo.
A salvare la Siae dall’ondata di ricorsi che di lì a poco si sarebbero abbattuti, ci ha subito pensato nel 2009 un secondo Decreto del Consiglio dei Ministri (DPCM n.31/2009), che ha varato un ulteriore Regolamento di esecuzione, ripristinando, con efficacia retroattiva nell’Ordinamento Italiano, l’obbligo dell’apposizione dei contrassegni così come prescritto dalla Legge sul Diritto d’Autore (art. 171-bis comma 1 e 2, art. 171-ter comma 1, lett. d) e dal primo decreto di attuazione n.338/2001, bollato inizialmente come illegittimo dalla Corte di Giustizia Europea.
Proprio su questo punto, la sentenza n.584/2012 del Consiglio di Stato è intervenuta per ribadire il principio di irretroattività del Decreto di esecuzione varato nel 2009, spalancando la porta agli eventuali ricorsi degli imprenditori per la restituzione di quanto versato in nove anni alla Siae (si parla di decine di milioni di euro per anno). La soluzione dei contenziosi verrà ora affidata ai giudici tributari così come previsto dalla sentenza 26 gennaio 2011 n.1780 della Cassazione Civile. Aspetto che contribuisce a definire la valenza fiscale dei suddetti bollini, funzionali all’autenticazione dei cd e dvd che ne siano provvisti, ai fini della loro commercializzazione ed il cui costo, sostenuto dal richiedente, assume i connotati di un’imposta di scopo, destinato cioè a finanziare l’esercizio dell’attività di controllo affidata alla Siae. La Corte di Cassazione con una seconda sentenza del 2 febbraio 2011 n. 3835 ha di fatto già chiarito che l’entrata in vigore del Decreto di esecuzione del 2009 abbia reintrodotto la “ripenalizzazione delle condotte ricollegabili alla mera carenza del contrassegno Siae – anche se non può- rendere penalmente illecite condotte nel frattempo scriminate dalla non opponibilità ai privati del contrassegno mancante”.
La Società Italiana Autori ed Editori intanto si affretta a chiarire in un comunicato che gli effetti della irretroattività saranno limitati al massimo a due anni, pur restando “ovviamente confermata la legittimità e la utilità del “bollino”, richiesto dagli autori e dalla stragrande maggioranza degli editori, a tutela dei consumatori e contro la pirateria, e, comunque, previsto da una legge dello Stato”.
In effetti riguardo a quest’ultimo aspetto anche l’impianto della sentenza del Consiglio di Stato sembra confermare in toto la legittimità del Decreto del 2009, essendosi quest’ultimo attenuto alla procedura di notifica alla Commissione Europea, avviata nel 2008, e mediante cui il nuovo regolamento sarebbe stato approvato in seconda battuta per tacito assenso. Il collegio ribadisce inoltre nella sentenza l’utilità dell’apposizione dei contrassegni Siae in discussione, la cui prescrizione “risponde all’esigenza di tutelare non solo il diritto di autore in sé, ma anche gli operatori commerciali e gli utilizzatori finali dell’opera – esigenza tanto più avvertita a fronte dei diffusi fenomeni di “pirateria” e contraffazione”.
Eppure verrebbe spontaneo chiedersi per quale motivo suddetto obbligo dei contrassegni sui cd e dvd sia al momento condiviso in Europa dal nostro Paese solo con la Grecia, il Portogallo e la Romania.
Manuela Avino