IL 17 FEBBRAIO 1600 GIORDANO BRUNO FINIVA AL ROGO. OGGI I MARTIRI DEL POTERE ALLA PEGGIO VANNO A SANREMO

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Non siamo mai stati così confusi e infelici. Eretici (o aspiranti tali) e censurati. E alla fine, ammettiamolo, ce la tiriamo un po’ tutti da Giordano Bruno, filosofo del quale ricordiamo a stento il rogo a Campo dei Fiori, esattamente 412 anni fa, il 17 febbraio 1600.
Ma mentre questo eretico vero, fece davvero tremare la Chiesa introducendo il tema dell’infinità – o infinitezza – dell’universo, oggi, agli eretici di mestiere il peggio che può capitare è finire a Sanremo. Viviamo nella confusione. Tra espressione e informazione, comunicazione e giornalismo, diritto soggettivo e funzione etica. E ci sentiamo ossessivamente controllati, imbavagliati, spiati. Bersagliati da mille occhi ma, nel nome della democrazia, scendiamo in piazza coi cartelli «intercettateci tutti». Vogliamo una Rete libera, ma libera veramente. E non ci preoccupiamo che un web fuori controllo possa stritolare soprattutto i più deboli, ingenui e inesperti.
Poi c’è la colata lavica di blog e di forum che è quasi sempre rassicurante, conformista. Certi totem e tabù del politicamente corretto resistono, quelli non si sfiorano, chi li tocca muore.
Viviamo in un’orgia di trasgressione organizzata, innocua e possibilmente indolore. Vogliamo, per dirla con Carmelo Bene, «fare la rivoluzione scortati dai carabinieri».
Quando poi qualcuno ha da ridire su ciò che sosteniamo allora si grida prontamente alla censura. Una parola talmente inflazionata che oggi ha perduto ogni consistenza. Tanto che c’è chi, su un martirio discutibile, ha costruito carriere, sfidando padre Pio sul dono dell’ubiquità. Non che l’abitudine a silenziare, intendiamoci, sia passata: non passerà mai, finché ci sarà un potere.
Invece, oggi, quando scatta davvero, assume le forme più sfumate della rappresaglia mediatica o virtuale, che servono a mettere l’eretico di turno sulla lista nera. Trasformandolo, appunto, in un martire.

A beatificazione avvenuta, basta prendersela con due o tre mammasantissima e ti ritrovi chiuse tutte le porte che contano, perché i santini, sempre quelli, sono dappertutto, presidiano tutto. C’è addirittura qualche martire, notoriamente scomodo, che se osi contraddirlo fai la fine del povero Aldo Grasso, in un curioso ribaltamento dei ruoli: è l’eretico che scaglia anatemi, via servizio pubblico.
Giordano Bruno, invece, fu un fuggiasco per tutta la vita, condannato dal suo stesso rifiuto di rimangiarsi la sua idea. Questo eretico vero, questo ribelle che osava sostenere una pluralità di mondi, non aveva un posto dove nascondersi per sfuggire ai suoi cacciatori, e trovare un editore così coraggioso da pubblicare le sue opere. Italia, Ginevra, Tolone, Parigi. Più si spostava, e più veniva braccato.

Ecco, la vera censura. Un nobile veneziano, Giovanni Mocenigo, si offrì di ospitarlo. Poi lo denunciò all’Inquisizione che di Bruno si lavò le mani, trasferendolo a Roma, dove furono assai meno comprensivi.
Otto anni di galera dura, un processo interminabile. Neanche il cardinale Bellarmino riuscì a piegarlo, e alla fine non restò che la frase di rito: «Sia punito con la massima indulgenza e senza effusione di sangue».

La Chiesa fu di parola: le fiamme asciugano, inceneriscono, non sporcano. Poteva il clero risparmiare uno che sosteneva che il centro dell’universo era dovunque e che la sua circonferenza in nessun luogo, travolgendo persino Aristotele, la sua distinzione tra sostanze terrene e dimensioni celesti? Dal suo punto di vista, no, all’epoca non poteva.

Il panteismo neoplatonico di Giordano Bruno era gravido di insidiose conseguenze per lo stesso cristianesimo: tanto per cominciare, lo inghiottiva. Per non parlare del suo «eroico furore» verso la natura, un amore caldo, emotivo, ansioso di un infinito che «corre dove non può arrivare, si stende dove non può giungere, e vuol abbracciare quel che non può comprendere».

C’era già nelle parole di Bruno l’embrione del romanticismo. Quegli eroici furori condannarono il frate domenicano alla fine che egli accettò di subire con una frase rimasta celebre: «Tremate più voi che mi condannate anziché io che devo subire la sentenza».
E pensare che oggi, gli eretici di professione alla peggio guadagnano centinaia di migliaia di euro sproloquiando per un’ora dal palco fiorito dell’Ariston.

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