La vicenda politica ed editoriale del Manifesto è certamente un pezzo della storia travagliata non solo del Pci, ma della sinistra tutta. Il quotidiano ora rischia veramente di chiudere. Da sempre non condivido la linea politica che ha seguito e segue ancora il Manifesto, ma penso che l’assenza di una voce come la sua nel coro afono della sinistra sarebbe una nuova mutilazione. Le esperienze fatte per una “rifondazione comunista” sono fallite, non poteva essere diversamente: l’esperienza del Pci e dei suoi gruppi dirigenti è irripetibile, anche perché il mondo è cambiato.
Il Manifesto si definisce ancora “quotidiano comunista”, segnalando così un’appartenenza storica e un orizzonte ideale, ma la sua quotidianità ci dice che conduce una lotta politica sul terreno sociale e culturale che non hanno più un riferimento a “rifondazioni”, ma alle forze che comunque sono in campo. La reazione di Valentino Parlato e Norma Rangeri, direttrice del quotidiano, determinati nel continuare, è giusta e va sostenuta. Anche per quel che riguarda il contributo pubblico, ridotto drasticamente dal vecchio governo e non ancora ripristinato dal nuovo, ha ragione la Rangeri quando dice che su alcune pubblicazioni che fanno opinione c’è un doppio attacco: «Quello della censura del potere e quello del malaffare di chi ha approfittato i questi anni di quei fondi senza avere diritto». Come i lettori sanno, anche il Riformista è sull’orlo del precipizio. Le nostre difficoltà sono note e pesanti. Ed è bene sapere che questo giornale è l’unica voce che in Italia si batte sul terreno del socialismo democratico europeo. Altre voci, sono rispettabilissime e vanno tutelate, ma fanno capo a “partiti democratici” e gruppi di cattolici politicamente militanti, ma diverse da quelle della sinistra socialista. In ogni caso, da noi come al Manifesto, la partita si deciderà nei prossimi giorni. Vedremo.