GOOGLE ED IL “PRIVACY AFFAIR”: TANTO RUMORE PER NULLA?

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La revisione delle politiche sulla privacy annunciata da Big G ed in vigore dal prossimo 1°marzo, ha sollevato un gran polverone. Il motivo è semplice e riguarda la nuova modalità di accesso integrato ad alcuni servizi offerti da Google come GMail, Google Maps, Google Docs, YouTube ed il social network Google Plus, attraverso la creazione di un unico account, dunque, prevedendo un solo login da parte dell’utente.

“Stiamo eliminando oltre 60 diverse norme sulla privacy in tutti i servizi Google per sostituirle con una normativa unica, più breve e di più facile comprensione”, si legge nella sezione esplicativa disponibile sul sito di Google dal 25 gennaio, giustificando l’out-out dei nuovi termini d’uso per i suoi scritti come funzionale ad un’esperienza di navigazione e di consumo del servizio “meravigliosamente semplice ed intuitiva”.
Chi non volesse sottostare alle nuove direttive, potrà ricorrere all’opzione offerta dai “Data Liberation tools”, ovvero cancellare il proprio profilo personalizzato su Google o a limite creare più account a seconda delle finalità di utilizzo del servizio (se per lavoro o per uso personale).

I dubbi sulla rivoluzione in atto nell’ecosistema di Big G riguardano però un altro risvolto della faccenda, vale a dire l’obbligo di condividere le informazioni raccolte (anche se in forma anonima) lungo le maglie più strategiche della “filiera” produttiva del colosso di Mountain View. Un passaggio che sembra inevitabile specie se in un’unica esperienza d’uso sono destinati a convergere strumenti tanto diversi tra di loro, come l’algoritmo di ricerca, il sistema di geo-localizzazione offerto da Google Maps, la gestione di un profilo sociale pubblico su Google Plus, la pubblicazione dei documenti online mediante il servizio Google Docs, la navigazione su YouTube sino all’uso della posta elettronica e la chat correlata, mediante GMail. Un interscambio prezioso di dati (abitudini, preferenze etc.) associati ad un’unica identità e posti sotto la lente di ingrandimento di Big G. Un aspetto, questo, che per l’utente provvisto di un account Google dovrebbe tradursi nel vantaggio di ottenere risultati di ricerca personalizzati, addirittura suggeriti dalla grande G, in base agli interessi manifestati durante l’esperienza d’uso di più servizi oltre che ad avere la garanzia di un controllo più diretto sulle impostazioni della privacy mediante un unico protocollo gestito sul pannello centrale della Google Dashboard.
La parola d’ordine è semplificazione, obiettivo che però sembra servire anche l’altra priorità del numero uno del search engine, ovvero la creazione di campagne ed annunci pubblicitari fatti su misura. Un beneficio, quest’ultimo, che andrà ad arricchire la ben più remunerativa contropartita di Big G.
Con la nuova Privacy Policy a partire dal 1° marzo 2012, il team di Mountain View potrebbe di fatto approfittare della disponibilità più efficiente e razionale delle informazioni sui propri iscritti, al fine di ottimizzare il funzionamento integrato della piattaforma e renderlo più appetibile sia agli inserzionisti pubblicitari sia a quelle aziende interessate ad investire in social media marketing. Un circolo “virtuoso”, certo, ma non privo di interrogativi. Gli stessi avanzati in Europa dalla Francia (Cnil-Commission nationale de l’informatique et des libertés) e dall’Irlanda intenzionate ad aprire un’inchiesta sui nuovi termini di utilizzo del servizio integrato, disposto da Google. Lo scopo è quello di indagare sulle modalità di raccolta e di archiviazione dei dati scambiati tra i vari siti, facendo luce su quali tipologie di informazione verranno trasferite e quali siano le eventuali società terze destinatarie.

Manuela Avino

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