Il decreto salva-Italia rischia di ammazzare il pluralismo dell’informazione. La sentenza è scritta nell’articolo 29, comma 3, della manovra presentata alle camere dal premier Mario Monti. Dieci righe esatte dedicate agli interventi sull’editoria ma più che sufficienti per mettere fine a ogni speranza di un intervento nel settore che, garantendo la massima trasparenza, ripristini i fondi necessari ad evitare la chiusura di cento testate cooperative, no profit, di partito e di idee. Dieci righe che in nome del pareggio di bilancio cancellano definitivamente entro il 2014 il sistema della contribuzione diretta, non rifinanziano il fondo per l’editoria e, anzi, dopo aver tolto ai poveri regalano finanziamenti ai grandi gruppi editoriali. I risparmi che il governo dei tecnici conta di ottenere con la soppressione della contribuzione diretta saranno infatti destinati in parte «alla ristrutturazione delle aziende già destinatarie della contribuzione diretta», ma anche «all’innovazione tecnologica del settore, a contenere l’aumento del costo delle materie prime, all’informatizzazione delle rete distributiva». Soldi quest’ultimi che, a quanto si capisce, non sono riservati solo alle piccole realtà editoriali ma a tutti indistintamente, grandi gruppi compresi.
Potrà essere contento Monti, visto che sarà il suo governo di tecnici a dare il colpo di grazia al pluralismo dell’informazione, cosa che non era riuscita, nonostante tutto, neanche al governo Berlusconi. Numerose testate, tra le quali il manifesto, l’Unità, l’Avvenire, il Secolo, il Corriere mercantile, rischiano di veder così sparire ogni speranza di sopravvivenza.
Il problema, infatti, è che nonostante l’intenzione annunciata dal premier di mettere mano al regolamento sull’editoria per garantire un maggior rigore nella distribuzione dei fondi (cosa tra l’altro sollecitata da anni dalle testate interessate) non si accenna a nessun intervento economico per l’immediato, come invece l’emergenza della situazione richiederebbe. «Sarà il mercato a fare piazza pulita e il governo interverrà quando ormai molte delle cento testate oggi in crisi non ci saranno probabilmente più», spiega il presidente di Mediacoop Lelio Grassucci che giudica «inaccettabile» l’intervento deciso dal governo. E che poco si fida degli impegni per il futuro che si possono intuire dalla lettura della manovra. «Quello prefigurato dal governo non solo è un fondo a tempo, ma è senza risorse», prosegue Mediacoop. «Con l’attuale consistenza, falcidiata dal precedente governo, non ci saranno più testate da far accedere ai finanziamenti. In queste condizioni che senso ha riformare il regolamento? Che senso ha prevedere criteri più rigidi ed efficienti di erogazione? Che senso ha dilatarne l’applicazione all’intero settore dell’editoria?».