EMOLUMENTI E CONTRADDIZIONI: I RETROSCENA DELLA NUOVA SQUADRA DI GOVERNO

0
577

Va bene che il governo di Mario Monti è il simbolo delle contraddizioni, nascendo da quell’unione impossibile fra Pd e Pdl che dopo anni di botte da orbi ora sono costretti a sostenerlo insieme in Parlamento. Ma vedere la seconda squadra dell’esecutivo
formata ieri con gli incarichi da viceministri e sottosegretari, fa venire perfino un brivido in più. Lo squadrone è l’apoteosi delle contraddizioni. Chissà quali saranno le riunioni d’ora in avanti della squadra di governo alla Pubblica Istruzione o al Welfare.
Perchè di scuola dovranno occuparsi due personaggi che sono come il giorno e la notte. Elena Ugolini e Marco Rossi Doria. La prima- cattolica impegnata e vicina a Cl- è
stata preside del liceo Malpighi di Bologna, fra le teste pensanti della riforma prima
di Letizia Moratti e poi di Mariastella Gelmini (anche se fu apprezzata e utilizzata pure
da Luigi Berlinguer). Il secondo è il maestro napoletano dei ragazzi di strada, tutto
scuola pubblica e Costituzione, grande fan di Luigi De Magistris dopo avere tentato
alle comunali precedenti una candidatura a sindaco similare poi naufragata. Il giorno e
la notte.
Come quelli che si vivranno al ministero del Welfare. Perché lì sono approdati il più giovane professore universitario di ruolo che l’Italia abbia mai avuto, Michael Manone (figlio d’arte), che è radicale e liberale, e Cecilia Guerra, editorialista de La Voce.info e de l’Unità, che solo questa estate spiegava come mandare a quel paese la Bce sui contratti più flessibili per il lavoro.
C’è il rischio che in ogni ministero da oggi in avanti si vedano botte da orbi, a meno che la chiave di
governo sia acre ragione un po’ agli uni e un po’ agli altri con il risultato che tutti possiamo già immaginarci.
Saranno state anche queste contraddizioni, e forse la
chiara matrice politica di molti presunti tecnici a complicare in questi giorni la formazione della squadra bis dell’esecutivo. La confusione peraltro è regnata sovrana
anche ieri. Fin dal primo mattino quando dal Quirinale si è scoperto che nessuno aveva in mano le deleghe sul pubblico impiego, e che così restava spazio per un ministro in più che raccogliesse l’eredità di Renato Brunetta. La scelta è caduta su Filippo Patroni Griffi, consigliere di Stato che nell’ultimo anno è stato al centro di polemiche giornalistiche anche roventi.
Milena Gabanelli con il suo Report lo ha infilzato per una sua straordinaria capacità nel cumulare stipendi. Pietro Ichino lo ha messo al muro scoprendo che l’ultimo mille proroghe aveva una norma ad personam di quelle che nemmeno Silvio Berlusconi aveva osato disegnare per sé: serviva a cumulare oltre che gli stipendi, pure gli incarichi pubblici. E certo mettere un professionista della doppia poltrona e del doppio stipendio a fare il cane da guardia
del pubblico impiego, è contraddizione non da poco.
Ma non è stata questa strana filastrocca sul bianco e il nero a spiegare il ritardo con cui dopo giorni anche il consiglio dei ministri decisivi si è tenuto. Perché fino all’ultimo le varie caselle sono state a rischio per una questione assai concreta e banale: quella degli emolumenti. Vero che la formazione Monti a pieno regime risulterà probabilmente il governo più caro della storia della Repubblica, perché ministri e sottosegretari non parlamentari costano molto, più degli altri: ognuno di loro circa 130 mila euro lordi più di un collega che è già parlamentare. Ma lo stipendio complessivo non era così allettante per chi deve rinunciare a incarichi privati assai meglio remunerati. E non tutti in queste ore si sono sentiti pronti al gesto eroico: rinunciare a 3-400 mila euro almeno per il bene del paese in difficoltà.
Non è entrato in squadra ad esempio Francesco Micheli, forse il manager di Banca Intesa che più ha lavorato con Corrado Passera (erano insieme anche alle Poste).
Il sacrificio però è stato accettato da Mario Giaccia, che oggi guidava la Banca infrastrutture di Intesa, ma in fondo veniva dal pubblico e lì è stato disposto a tornare. Il gran sacrificio è stato accettato anche da Vittorio Grilli, che resta direttore generale
del Tesoro in aspettativa ma per un anno e più accetta di auto-ridursi lo stipendio del
70%, rifiutando perfino le allettanti proposte che erano arrivate da gruppi bancari internazionali (Goldman Sachs e Barclays).
Torna allo Stato anche Carlo Malinconico, brillante presidente della Fieg che si occuperà sempre di editoria e nel momento del bisogno non ha fatto una questione di emolumenti. Lavorerà per altro a fianco di uno dei massimi professionisti del settore
pubblico e privato, come Paolo Peluffo, che già accompagnò in tutte le sue tappe
Carlo Azeglio Ciampi.

Massimo De Bellis

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome