Nel convegno organizzato dall’osservatorio ‘Ossigeno’ – “La dissolvenza dei fatti e delle opinioni” – tenutosi il 16 novembre scorso presso l’Università Orientale di Napoli, si è parlato della salute del giornalismo, facendo un confronto tra la Cina e l’Italia.
In Cina non esiste la libertà di stampa e i tempi non sono maturi per averne una, è la dichiarazione di Yang Jisheng, un ex-giornalista all’agenzia di stampa di Stato Xinhua (“Nuova Cina”). Tuttavia la diffusione di internet rende il sistema censorio sempre più permeabile, i giornalisti hanno sempre meno paura di raccontare, dunque si sta passando dal buio totale ad una speranzosa penombra.
Niente a che vedere con il nostro Paese dove esiste un apparato normativo che protegge e tutela i giornalisti, un sindacato, un ordine professionale, varie associazioni, eppure, anche qui, non mancano episodi che mortificano la libertà e il pluralismo dell’informazione.
Il direttore di ‘Ossigeno’, Alberto Spampinato, che ha vissuto in prima persona la ritorsione della mafia che uccise il fratello Giovanni nel 1972, afferma che esisterebbero varie Italie, formalmente tutte ugualmente tutelate, ma nei fatti diverse. La periferia del meridione sembra la realtà più difficile. Un esempio è la triste vicenda della testata Metropolis che ha subito pesanti ingerenze dalla malavita stabiese per la pubblicazione di una notizia riguardante il pentimento di un boss e del suo matrimonio in carcere. Poi c’è la vicenda di Arnaldo Capezzuto che, con una coraggiosa denuncia, ha contribuito all’arresto di un boss; ma del “lieto fine” nessuno ne ha parlato. Dunque, anche quando si vince, la paura di ritorsioni è più forte della libertà di stampa.
Sul piano nazionale ci sono esempi meno drammatici, ma comunque molto significativi.
Trasmissioni come Annozero e Parla con me sono state eliminate e Report è costretta a subire decine di querele, denuncie e richieste di risarcimento per diffamazione.
Facendo un piccolo passo indietro negli anni ricordiamo un precedente importante.
Siamo nel 2003, va in onda il 16 novembre la prima puntata di RaiOt – Armi di distrAzione di massa”, una trasmissione di Sabina Guzzanti: format satirico ma lucidamente ancorato a dati di fatto. Ci fu un duro attacco all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in difesa della libertà di informazione. La Guzzanti fa “le pulci” all’impero mediatico del cavaliere approfondendo i contenuti della legge Mammì, che consacrò il monopolio televisivo privato di Mediaset, la sentenza della Corte Costituzionale del 1994, che dichiara illegittima Rete4, la legge Gasparri che salvò definitivamente la quarta rete di Cologno, rafforzando il monopolio Mediaset con la creazione del Sic (“Sistema Integrato delle Comunicazioni”). Scattarono le querele per diffamazione aggravata per aver diffuso invettive, accuse gratuite e infondate contro Mediaset e il presidente del Consiglio; il risarcimento chiesto era di 20 mln di euro. Il pm ritenne la querela infondata e alla fine la battaglia fu vinta dalla Guzzanti, ma il programma non andò più in onda: il cda Rai, nonostante il successo della prima puntata (quasi 2 milioni di telespettatori e il 18% di share) votò all’unanimità la sospensione per cautelarsi da eccessivi strascichi giudiziari.
Egidio Negri