GOOGLE CARS LADRE DI PRIVACY

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La rivista specializzata Cnet e l’autorità francese per la protezione dei dati personali, CNIL, confermano l’esistenza di un rischio di violazione della privacy a carico delle automobili di Mountain View impegnate a scattare foto in tutto il mondo per aggiornare il database del servizio di Google Maps. Dopo gli iPhone spioni della Apple ed il comportamento anomalo di alcuni smartphone Android, a quanto pare, anche le autovetture di Big G terrebbero traccia delle informazioni relative a milioni di dispositivi (smartphone ma anche laptop) dotati di connessione wifi, salvandone i rispettivi MAC address (acronimo per Media Access Control, ovvero l’indirizzo ethernet “ID hardware” dei dispositivi di rete). Con la solita scusa di voler migliorare i servizi di geolocalizzazione mediante i moduli GPS, Google non si sarebbe però limitato a memorizzare tali dati ma li avrebbe anche pubblicati online, facendoli figurare in un apposito database aperto a chiunque, fino alla fine di giugno. Soltanto dopo la denuncia di un consulente per la sicurezza, tale Ashkan Soltani, Mountain View avrebbe provveduto a frenare tale pratica ma declinando qualsiasi invito a fornire una versione ufficiale della vicenda. In realtà l’unico strumento volto a tamponare un simile “intoppo” tecnico, Google lo identificherebbe nel criterio dell’opt out disponibile per gli utenti, metodo che dovrebbe consentir loro di rimuovere i rispettivi indirizzi registrati nel database di localizzazione.
Se dal punto di vista degli esperti numerose sono le perplessità sollevate sul sistema di tracciamento targato Montain View, non altrettanto preoccupata deve essere stata la Federal Trade Commission degli Stati Uniti che nell’ottobre scorso ha archiviato l’indagine proprio sulla collezione accidentale dei dati effettuata da Google sulle connessioni wireless, senza comminare alcuna multa. Nella lettera inviata dal Direttore dell’Ufficio Tutela dei consumatori, David Vladeck, era stato infatti ribadito che i miglioramenti apportati da Big G sulle pratiche interne relative alla privacy, risultavano sufficienti, a tal punto, da vanificare ulteriori investigazioni. Mountain View in quell’occasione ci tenne a precisare che le indagini non avevano preso di mira il servizio di mappatura in 3D di Street View ma solo le autovetture impiegate per la raccolta in chiaro dei dati di identificazione dei dispositivi (ammettendo così la cattura di informazioni sensibili come e-mail e password) mediante la connessione wifi. Questo accadeva ad ottobre. Ben diversa la reazione della Francia dove l’ente CNIL a marzo di quest’anno ha imposto una multa record di 100mila euro al colosso del search engine per la raccolta illegale di dati che andrebbe ben oltre il semplice “errore di programmazione”. Tale prassi consentiva infatti di risalire agli spostamenti del dispositivo tracciato, rilevando l’indirizzo di casa o di ufficio del proprietario oltre che i posti da lui frequentati. Un aspetto, questo, a quanto pare sufficiente a far sospettare Google di attuare una vera e propria strategia commerciale finalizzata al lucro dei dati raccolti all’insaputa degli utenti. Si tratta certo di supposizioni, ma di una gravità tale, da poter legittimare in parte la riapertura del caso e forse anche una class action dei consumatori più volte paventata negli Usa.
Manuela Avino

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