Non è possibile imporre sanzioni pecuniarie eccessive e sproporzionate rispetto alle entrate dei giornalisti. L’approccio dei giudici nazionali nei procedimenti di diffamazione non può essere troppo rigorosa. I tribunali interni chiamati a valutare la condotta di un giornalista devono tener conto dell’impatto che la decisione potrebbe avere non solo nei confronti del singolo reporter ma sui media in generale. È quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Kasabova e Bozhkov contro Bulgaria del 19 aprile che segna un’ulteriore vittoria targata Strasburgo per la libertà di espressione.
Alla corte si erano rivolti dei giornalisti dopo aver subito una condanna per diffamazione per aver scritto alcuni articoli sulle modalità di ammissione degli studenti in scuole secondarie speciali. Alcuni allievi erano riusciti a entrare non sulla base del merito ma solo per aver presentato dei certificati medici. I giornalisti avevano raccontato la vicenda e dato conto dei sospetti di corruzione che gravavano su alcuni ispettori del ministero. Questi avevano denunciato i giornalisti che erano stati condannati per diffamazione a una sanzione pecuniaria elevata, pari a 70 volte lo stipendio mensile minimo.
Un giudizio ribaltato dalla Corte Europea che ha inviato chiare direttive per i giudici nazionali alle prese con questioni riguardanti la libertà di stampa garantita dall’articolo 10 della Convenzione europea.
Prima di tutto, osserva Strasburgo, la restrizione alla libertà di stampa può essere ammessa solo di un bisogno sociale imperativo. Informare su presunti casi di corruzione è di rilievo per la collettività ed è «parte integrale del compito dei media in una società democratica». Nei procedimenti interni, soprattutto nei casi in cui la legislazione fissa l’onere della prova sul giornalista, va laciato a quest’ultimo ampio margine di manovra. Se il cronista dimostra di «aver agito correttamente e in modo responsabile» secondo gli standard della professione, non può essere punito. Né è compatibile con la Convenzione il ragionamento seguito dai giudici nazionali che condizionavano l’assoluzione dei giornalisti all’accertamento della colpevolezza degli ispettori. Una conclusione irragionevole – osserva Strasburgo – perché i giornalisti non possono certo condizionare la propria funzione all’esistenza di condanne penali e salvarsi dalla pena per diffamazione solo se i dati forniti nei propri articoli hanno conferma nelle aule giudiziarie.
Giuseppe Liucci

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