Cosa prevede la norma
Il Decreto Ministeriale 24 gennaio 2014 del Ministro dello Sviluppo Economico (pubblicato in G.U. 27 gennaio 2014, n. 21) in attuazione dell’art. 15, comma 5, D.L. 18.10.2012 n. 179, prevede (art. 2, comma 1) che l’obbligo di accettare pagamenti attraverso carte di debito di cui all’art. 15 cit., si applica a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro disposti in favore dei soggetti di cui all’art. lett. d) (imprese e professionisti) per l’acquisto di prodotti o la prestazione di servizi anche professionali, nonché con riferimento alla disposizione di cui all’art. 2, comma 2, il quale afferma che “In sede di prima applicazione, e fino al 30 giugno 2014, l’obbligo di cui al comma 1, si applica limitatamente ai pagamenti effettuati a favore dei soggetti di cui all’art. 1, lett. D), per lo svolgimento di attività di vendita di prodotti e prestazione di servizi il cui fatturato dell’anno precedente a quello nel corso del quale è effettuato il pagamento, sia superiore a duecentomila euro”.
Con riferimento alle definizioni, il citato Decreto Ministeriale chiarisce che:
– per “carta di debito”, s’intende lo strumento di pagamento che consente al titolare di effettuare transazioni presso un esercente abilitato all’accettazione della stessa carta, emessa da un istituto di credito, previo deposito di fondi in via anticipata da parte dell’utilizzatore, che non finanzia l’acquisto ma consente l’addebito in tempo reale;
– il “circuito” è la piattaforma costituita dal complesso di regole e procedure che consentono di effettuare e ricevere pagamenti attraverso l’utilizzo di una determinata carta di pagamento; – “consumatore o utente” è la persona fisica che, ai sensi dell’art. 3 del DLgs. 206/2005, agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta;
– “terminale evoluto di accettazione multipla” è il terminale POS che consente l’accettazione di strumenti di pagamento tramite diverse tecnologie, in aggiunta a quella “a banda magnetica” o a “microchip”.
Le motivazioni dell’impugnazione al TAR
Nel ricorso al TAR il Consiglio Nazionale degli architetti con l’intervento del Consiglio Nazionale degli Ingegneri ritiene che la norma introdotta dal legislatore è inutile e costosa stante che il suo scopo primario, quello di contrastare elusione ed evasione, può essere raggiunto attraverso pagamenti tracciati (bonifico o assegni) senza obbligare i professionisti ad attivare POS costosi da installare e utilizzare, stante il divieto, ex articolo 15, comma 5 quater, del Decreto legge n.179/2012, di richiedere un sovraprezzo legato all’utilizzo di un determinato strumento di pagamento.
L’analisi del TAR
I giudici amministrativi del TAR del Lazio evidenziano che il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha dato attuazione all’obbligo generale di fonte legale limitandosi a prevedere un termine di decorrenza differenziato in relazione a distinte classi di imprese e professionisti:
1) obbligo immediato per imprese e professionisti il cui fatturato, nell’anno precedente a quello nel corso del quale è stato effettuato il pagamento, sia stato superiore ai duecentomila euro;
2) obbligo differito al 30 giugno 2014 per tutti gli altri operatori e l’importo minimo dei pagamenti ai quali si applica la nuova disposizione di legge.
Occorre rilevare, osserva il TAR, che ad una prima e sommaria valutazione, l’atto impugnato non sembra viziato da illegittimità né sotto il profilo della violazione di legge né sotto quello dell’eccesso/sviamento del potere.
Con riferimento, al pregiudizio allegato dai ricorrenti Ordini professionali, relativo ai costi organizzativi ed economici connessi all’acquisto del POS, il Tribunale Amministrativo Regionale è del parere che abbia natura prettamente economica. Sotto tale profilo, è stata dunque considerata “carente la dimostrazione dell’irreparabilità del pregiudizio”, richiesta dall’art. 55, comma 1, del D.Lgs. 104/2010 (Codice del processo amministrativo), “che non può riferirsi al Consiglio dell’Ordine come ente esponenziale della categoria” mentre, per il singolo professionista ricorrente, “tale pregiudizio non può esaurirsi nella generica allegazione di danni meramente patrimoniali, in assenza di deduzioni sulla situazione economica dell’interessato, tali da far ipotizzare un esito potenzialmente irreversibile, in caso di mancata sospensione degli effetti del provvedimento”.
Il Tribunale amministrativo, pertanto, respinge il ricorso decidendo per la compensazione delle spese.