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Oggi 25 aprile, festa di tutti gli italiani

Fausto o infausto, a seconda dei punti di vista, e dei ricordi, il 25 aprile è la festa di tutti gli italiani. E quello del 1945 appartiene un po’anche a me. Non solo perché alle sei del mattino sono venuto al mondo al sesto piano di quel grande palazzone che si affaccia sul mare napoletano di Santa Lucia. No, c’è una ragione più profonda: perché negli anni ho scoperto quanto importante sia per l’Italia e per tutti gli italiani ricordare la fine di un incubo, la fine della guerra. Di quella guerra fratricida che ha messo di fronte milioni e milioni di italiani. Amici, parenti, fratelli…

Ne so qualcosa io, costretto tutti i 25 aprile a subire gli scambi verbali – ricordo molto concitati – tra mio nonno, colonnello dei carabinieri irriducibile fascista, mussoliniano di ferro, e mio padre, partigiano, capitano-medico, socialista convinto…
Di solito i compleanni sono ricordati per i regali e per le belle feste in famiglia.

miei no, terminavano sempre prima del dolce dopo violenti scambi verbali nell’intermezzo tra la squisita pasta al forno cucinata da mia madre e le salcicce con i “friarielli” cucinate da mia nonna. In quel brevissimo lasso di tempo, quasi fosse diventata un’abitudine, mio nonno si alzava da tavola, mi rinnovava gli auguri di buon compleanno, mi dava un bacio sulla fronte, rivolgeva un saluto frettoloso a mia madre e con un gelido “arrivederci a tutti” andava via.

Nel 1963, diciottesimo mio anniversario, regalo di compleanno Fiat 500 regolarmente usata, – frequentavo già il secondo anno di università – successe il “miracolo”: mio nonno non litigò piú con mio padre, mangiò pasta al forno e salsicce, arrivammo tra lo stupore generale, al taglio della torta quando lui, rivolgendosi al sottoscritto disse con fare imperioso:”Sei grande ormai, hai 18 anni e la patente per guidare, quindi oggi deciderai tu chi ha ragione, tuo padre o io…. Da che parte stai? Ma sappi che la Patria….”
Lo interruppi subito:”Nonno, papà, mi aspettano, andiamo a ballare. Sono problemi vostri e vecchi, noi giovani vogliamo soltanto vivere, grazie di esservi fermati il 25 aprile ….” Mio nonno morí nel novembre dello stesso anno.
Negli anni a venire non ho mai più affrontato l’argomento con mio padre, ma ho letto, studiato, consultato libri e giornali all’emeroteca…
E alla fine ho dato ragione a tutti e due. Dal loro punto di vista, insieme, avevano lottato e combattuto per migliorare l’Italia, per un avvenire piú roseo. Ma i loro capi avevano altri obiettivi…

Oggi sono passati 70 anni da quel 25 aprile del 1945 in cui finalmente l’Italia riuscì a trovare la sua Liberazione. Dopo tutto questo tempo, il rischio che corriamo, come Paese, come cittadini, come individui, è lo smarrimento della memoria e la fatale, drammatica, espulsione dal nostro vocabolario politico di parole importanti e decisive, anche per la definizione del tempo presente.
Molti fattori concorrono a rendere concreto questo rischio: l’inevitabile perdita dei testimoni diretti di quei giorni; il fatale declassamento del 25 aprile a “gita fuori porta”, soprattutto per certa opinione pubblica e purtroppo anche per le giovani generazioni.

In molti è ormai radicata l’errata convinzione che se non esiste più il pericolo fascista, non ha più senso essere antifascisti. Eppure, antifascista è parola che ha un valore storico e politico che prescinde dai fatti storici dai quali essa è nata, dalla guerra civile scoppiata in Italia dopo l’8 settembre del 1943. E di cui mi piace ricordare le storiche “Quattro giornate di Napoli” quando i miei concittadini decisero di impugnare le armi e di combattere strada per strada, vicolo per vicolo contro gli ex alleati divenuti a tutti gli effetti occupanti (più di trecento pagheranno questa scelta con la vita). Ma se la guerra civile dell’Italia tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945, e la parola antifascismo non s’insegna piú nelle scuole superiori, o nelle università, o in tv, o tra gli italiani all’estero, come potranno, le nuove generazioni, segnalare un pericolo fascista o autoritario? Il termine Antifascismo resta uno degli ancoraggi semantici e concreti, dagli effetti anche giuridici, della nostra democrazia, e della nostra Costituzione. Dimenticarsene è un delitto, contro la memoria, contro il presente, contro le nuove generazioni.

L’amico Giovanni Costanzelli – che non è certamente un uomo di Sinistra – proprio ieri ci ha inviato un laconico messaggio: quest’anno non ci saranno a Montevideo le celebrazioni del 25 aprile dell’ANCRI con la rituale Santa Messa, e non ci sará lui, Giovanni a ripetere quell’amaro ritornello “celebriamo ed onoriamo i nostri caduti, tutti i caduti, dell’una e dell’altra parte…”Ecco, cosa manca oggi, a Montevideo. Celebrare il 25 aprile, senza distinzione… Celebrare e basta.

Non ce la fa più Costanzelli. E’stanco, malato. Ma io ricordo sempre con vero piacere quei 25 aprile trascorsi nella “sua“ Ancri, quei cimeli conservati e venerati nelle bacheche, quei deliziosi “pranzetti di campo”, con le donne a girare per i tavoli a riempire i piatti di delizioso “rancio”come lui lo chiama ma che di rancio non aveva nulla…. Ottima pasta cotta al dente, ottimo sugo, ottima carne…
Non ci saranno manifestazioni, oggi. Purtroppo. E meno male che l’ambasciatore mi ha assicurato che dopodomani si recherà alla scuola italiana, per spiegare ai ragazzi cosa è per l’Italia e per gli italiani la Festa della Liberazione.
Bravo Palladino, almeno tu riporterai un po’di Patria in questo Paese dove sembra del tutto sparita l’italianità.
Le elezioni del Comites sono infatti il triste epilogo di una collettività che sembra aver smarrito gli usi ed i costumi dei propri avi. Dimenticato le proprie origini.
Hanno votato in pochi, al Comites, e quei pochi hanno cambiato strada. Ha vinto una lista non legata a patronati. Per la prima volta. Ha vinto una lista dove compaiono molti italiani dell’interno, dimenticati negli anni dal vecchio Comites.

Mi dicono che ci sono state molte lamentele, per la scarsa pubblicitá data dalle istituzioni romane. Ma il sottosegretario Giro lo aveva detto a chiare lettere. Non c’è più trippa per gatti. E più si andrà avanti meno soldi arriveranno… Quindi a che serve recriminare? Presentarsi nei Comites o in altri organismi simili non lo prescrive il medico. Lo si fa per mettere a disposizione della collettività la propria persona. Senza prebende, con il solo spirito di aiutare i propri simili. Cercando di conservare e tramandare la nostra cultura, le nostre storie, cercando di dimenticare il passato.

Anche se molti candidati delle due liste del Comites “perdenti” hanno avuto la faccia tosta di presentare ancora una volta gli stessi capilista. Ripresentare il passato, con i suoi errori ed omissioni… per non sparire, per continuare a “comandare”. Ma comandare su chi, o cosa? Una bella canzone napoletana recita “scurdammece ‘o passato…” Ma se hanno voluto ripresentarsi non hanno nessuna intenzione di scordare il passato. Vogliono restare lí, aggrappati alle loro sedie, e qualcuno ai suoi inutili sermoni ( letti anche in lingua diversa dall’italiano….).
Si dirà perché non si é presentata una quarta lista? Anche lí, stupidi presuntuosismi hanno bloccato tanti altri candidati….Ma andiamo avanti, guardiamo avanti…

Oggi si festeggia il 25 aprile. Il passato esiste solo per le cose materiali che contano poco, che scadono, che si consumano. I valori, le persone, i sentimenti importanti, quelli che ci hanno fatto essere così come siamo, (sia come individui sia come comunità), non sono collocabili nel passato perché, essendo fatti costitutivi di tutti noi, vivono con noi nel presente. Ed è con questo puntuale approccio di attualità credo sia giusto celebrare oggi il 25 Aprile, con i suoi valori di giustizia, uguaglianza e libertà.

E’una questione che riguarda il nostro presente e il nostro futuro. Data simbolica che l’Italia ha scelto per riflettere sull’esemplare esperienza della Resistenza italiana, fatta di valori e dal sacrificio di tante persone che hanno deciso di scegliere ed essere protagonisti di quel presente per dare a se stessi e alle generazioni future una prospettiva migliore, per quello che oggi chiameremo il bene comune. Anche da questo dobbiamo prendere lezione dalla Resistenza e dai suoi protagonisti.
Resistere, resistere urlavano i nostri nonni in quelle vecchie e fetide trincee che hanno sbarrato l’avanzare del nemico.
Resistere, resistere continuo a ripetere oggi, ai miei giornalisti e ai miei colleghi delle altre testate colpiti con noi da questa crisi che ci sta distruggendo, poco a poco. Che sta dissanguando la libera editoria, quella che non ha mai voluto padroni, padroni politici. Perché i veri padroni siete Voi, i lettori. Il libero mercato.

Questo numero è “speciale”perché raccoglie decine e decine di attestazioni di stima, di incitamenti a continuare il lavoro intrapreso da noi, quel 14 aprile del 2005 qui, in Uruguay. E sono loro, siete Voi che ci spronate a non fermarci. Sono tempi difficili per la stampa e difficilissimi per la stampa italiana all’estero. Ma è soprattutto nei momenti di difficoltà che si deve essere protagonisti. Soprattutto nei momenti di difficoltà dobbiamo essere pronti a fare quello che è giusto e non nasconderci dietro a ciò che è solo miseramente conveniente. Non possiamo non vedere che, anche a causa della crisi economica e sociale che sta pervadendo il mondo intero, resta il rischio concreto che la mancanza di una prospettiva per milioni di cittadini possa essere un terreno fertile per il riaffermarsi di una cultura antidemocratica, xenofoba frutto di un miope istinto di autoconservazione. Dobbiamo allora stare attenti e fare di più perché questa cultura, autoritaria, non dilaghi.

Certo alle istituzioni spetta un ruolo principale da svolgere sia nella promozione che nell’affermazione di una cultura della democrazia e della partecipazione, ma è ad ognuno di noi che spetta la scelta di impegnarci e di non essere indifferenti, sempre però mantenendo vivo ed alto il sentimento di appartenenza al nostro Paese, soprattutto noi Italiani che viviamo in Paesi diversi dal nostro, affermandone con grande difficoltà e soprattutto per l’ignavia e la cocciutaggine di rappresentanti della collettività scaduti sia per il tempo sia per le idee, la cultura, l’italianità, la religione e la storia. Che ci rende fieri di essere italiani. Perché un Paese veramente democratico non permetterà mai lo svilimento dei propri valori e dei propri principi, ma sulla base di questi, permetterà invece l’integrazione di altri. Ricordate: senza il rispetto per la propria identità, non potrà mai esserci rispetto per l’altro.

E allora viva il 25 aprile e grazie a tutti coloro che ci hanno inviato messaggi e incitamenti. Grazie, dal sottosegretario Giro all’ambasciatore Palladino, dall’on. Porta al responsabile Pd nel mondo Marino. Grazie al segretario della nostra Federazione FNSI, Lorusso e al presidente dei Liberi Editori Bagnardi, all’ingegnere Brovetto che ci ha spinto a tentare di andare nelle edicole quando svolgeva le sue funzioni di ministro della cultura in Uruguay, un grazie speciale ai valorosi e preparatissimi colleghi che scrivono su questo foglio da più di 10 anni, e che ci hanno seguito da Monongha a Montevideo scrivendo libri (Sergi) insegnando giornalismo (Benni, Mastrogiacomo, etc…) al compagno di sempre Franco Esposito e grazie ai redattori che vivono qui, all’amico di tante battaglie Stefano Casini, ai giovani che hanno imparato a mettere in pratica il lavoro più bello del mondo….Letizia, Matteo,…

Grazie, grazie, ma soprattutto grazie a Voi cari lettori che continuate a sostenerci. E grazie a chi ha ricordato i miei 70 anni di eta’, i 50 di giornalismo e i 10 in Uruguay di questo foglio.
Non vi deluderemo.

Mimmo Porpiglia
Articolo tratto dal numero speciale della Gente d’Italia – Clicca qui per la versione originale

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