Importante novità dal Parlamento: per chi esercita abusivamente la professione di giornalista è in arrivo una maggiore sanzione penale, carcere compreso. Stanno infatti per scomparire le attuali blande sanzioni per i redattori e collaboratori abusivi non iscritti all’Albo. Oggi infatti l’art. 348 del codice penale prevede che “chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa da 103 a 516 euro”. Ciò significa che ce la si può cavare facilmente con una multa abbastanza ridotta senza mai rischiare praticamente il carcere, in quanto la reclusione è alternativa alla multa. Ma il 3 aprile scorso il Senato ha deciso, invece, di invertire rotta, inasprendo radicalmente le pene previste in caso di violazione dell’art. 348 del codice penale in tema di esercizio abusivo di una professione e cancellando la sanzione del carcere alternativa alla multa, in quanto le due sanzioni saranno entrambe cumulabili. Questo è il nuovo testo dell’art. 348 del codice penale in tema di esercizio abusivo di una professione, approvato a palazzo Madama: «Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a 2 anni e con la multa da 10.000 euro a 50.000 euro. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle attrezzature e degli strumenti utilizzati». La proposta di legge n. 2281 dei senatori Marinello, Ruvolo, Mazzoni, Torrisi e Pagano dovrà essere ora esaminata dalla Camera probabilmente entro l’autunno (cliccare su: http://www.camera.it/leg17/126?leg=17&idDocumento=2281).
Si ricorda che il requisito dell’abusività richiede che la professione sia esercitata in mancanza dei requisiti richiesti dalla legge, come ad esempio il mancato conseguimento del titolo di studio o il mancato superamento dell’esame di Stato per ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione. Integra il reato anche la mancata iscrizione presso il corrispondente Albo. La Corte Costituzionale con la sentenza 27 aprile 1993 n. 199, ha respinto la questione di legittimità costituzionale di tale norma rispetto ai principi di tassatività e determinatezza, affermando, però, nel contempo la natura di norma penale in bianco, in quanto necessita, a fini integrativi, del ricorso a disposizioni extra penali che stabiliscono i requisiti oggettivi e soggettivi per l’esercizio di determinate professioni.
Due anni fa le sezioni unite penali della Cassazione con la sentenza 23 marzo 2012 n. 11545 hanno affermato che: “Gli atti nonché gli adempimenti delle professioni regolamentate sono riservati a coloro che sono iscritti agli albi; qualsiasi attività tipica e di competenza specifica va a configurare il reato di esercizio abusivo della professione. Commette, quindi, il reato di esercizio abusivo della professione il soggetto che svolge attività “tipica e di competenza specifica” della professione regolamentata senza però essere iscritto all’Albo professionale.”