Era il 18 settembre 2012 quando, e “senza alcuna campagna pubblicitaria” – denunciano i redattori – Pubblico sbarcava in edicola con questo editoriale: “Saremo caustici con la politica per salvarla, non per distruggerla. Saremo spietati nel demolire l’Italia babbiona che uccide il merito, e appassionati nel ricostruire, cercando germogli sepolti nella neve”. Lo scriveva Luca Telese, direttore del nuovo quotidiano ‘Pubblico’. Un primo numero che apre con con un pezzo, intitolato ‘Obtorto call’, dedicato alla vicenda di un call center. Una scelta non casuale, visto che, scriveva ancora Telese, “questo giornale lo abbiamo imbandierato con colori antichi e idee nuove, per stare con i ragazzi dei call center, gli schiavi del terzo millenno che nel racconto dei media non hanno mai un volto”. Il quotidiano, prosegue il direttore, si schiera con quella che definisce “l’Italia a schiena dritta. L’abbiamo chiamata l’Italia del coraggio, l’Italia 2.0”. Stiamo con chi ha resistito a Marchionne, perché Marchionne era, e in questi anni lo abbiamo scritto, un “trucco”, aggiunge Telese, specificando poi che il suo quotidiano “è Pubblico in tutto tranne che nei finanziamenti: perché vogliamo farcela con le nostre gambe, senza regalie”.
Secondo gli editori di Pubblico, a determinare la chiusura dopo solo tre mesi è stato il bilancio in rosso. «Il punto di pareggio era a 9.600 copie – spiegò Telese, nella delicata posizione di direttore/editore -. Poi siamo scesi, con alcuni risparmi, a 8.200. Ma i nostri lettori, seppur affezionati, si fermarono a 4.000. Non ce l’abbiamo fatta ad andare avanti con le nostre forze». E così,quando i soldi sono finiti (il capitale sociale iniziale era di 748 mila euro,ndr) i soci hanno dimostrato difficoltà a ricapitalizzare». L’ultimo numero in edicola fu quello del 31 dicembre 2012. I redattori non nascosero accuse a Telese. Nero su bianco in una lettera pubblica sul quotidiano e sul sito, imputarono a lui e all’azienda di non aver fatto abbastanza per salvare il quotidiano, cominciando dal prezzo di copertina, «evidentemente troppo alton (1,50 €) all’epoca della grande crisi», passando per «la totale assenza di una campagna pubblicitaria che facesse conoscere il giornale ai lettori» e per «la totale mancanza di un “piano B” nel caso in cui le cose fossero andate male». «Gli editori ci dissero di non avere contatti quando abbiamo chiesto di cercare nuovi soci. Eppure il nostro era un progetto attraente con buone potenzialità. Il 18 settembre, il primo giorno di pubblicazioni, abbiamo venduto 43 mila copie. Poi siamo scesi, come è normale, ma con la campagna elettorale sarebbe di certo andata meglio. Insomma, la beffa è che il giornale abbia chiuso proprio quando potevamo crescere. Un giornale non può morire di morte naturale dopo soli tre mesi. L’idea che ci siamo fatti è che più che un’impresa questa sia stata una scommessa. Hanno puntato sulla roulette, giocando con le nostre vite».
Vi riproponiamo l’intervista che ha rilasciato ai microfoni di RadioBue.it il 29 ottobre 2012 Luca Telese all’Università di Padova: “Chi di voi vorrà fare il giornalista, si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore” sosteneva Indro Montanelli. Telese pare abbia interiorizzato pienamente la citazione del noto intellettuale scomparso nel 2001 nella misura in cui risulta da sempre restìo alle imposizioni calate dall’alto dal padrone di turno e rinunci a piegare la testa dinanzi ai diktat degli editori del momento. Da questi ultimi il giornalista, ha prontamente preso le distanze, inaugurando una nuova esperienza editoriale, questa volta all made in Telese. Mater semper certa est, pater numquam, ma in questo caso non v’è alcun dubbio sulla paternità di questo neonato in technicolor, “partorito” lo scorso settembre anche grazie al supporto di due redattori e di diversi collaboratori provenienti dal Fatto Quotidiano, testata da cui Telese si è dimesso nel giugno 2012 per un dissenso sul cambiamento della linea editoriale del giornale. Con l’inizio dell’anno 2013 il giornale “Pubblico” ha chiuso i battenti e nell’intervista realizzata il 29 ottobre 2012, già si intuivano le attese e le ansie del suo fondatore.
Vedi articoli precedenti: La fine della free press. Il caso DNews